Prosa
LA BALLATA DEL CARCERE DI READING

“La ballata del carcere di Re…

“La ballata del carcere di Re…
“La ballata del carcere di Reading” non è solo una lettura pubblica. Lo spettacolo, portato in scena da Umberto Orsini e Giovanna Marini, non si spinge a ricercare mirabolanti soluzioni, ma riesce nell’impresa di tradurre teatralmente un testo poetico senza rovinarlo. E già questo potrebbe essere assunto come criterio primo di successo, se non che la voce e l’interpretazione di Orsini, unita ad una singolare, ma ben riuscita, esecuzione di brani in inglese da parte della Marini, riescono anche ad esaltare il testo di Oscar Wilde sottolineandone il ritmo e le strutture narrative. “Gli uomini sono tutti condannati a morte con proroghe indefinite, cosa c’è dunque di tanto strano nella condizione di un condannato?’’. Così amaramente s’interrogava Victor Hugo nel suo “Le Dernier jour d'un condamné” del 1829. “L’uomo uccise la cosa che amava e per questo doveva morire”. Così cerca un’antifrastica risposta Oscar Wilde tra i versi de “The Ballad of Reading Gaol” nel 1898. Wilde fu rinchiuso nel carcere di Reading con l’accusa di omosessualità, e quella terribile esperienza si è rivelata la madre di uno dei suoi componimenti più poetici e civili. La ballata racconta la storia dell’impiccagione di un giovane detenuto colpevole d’aver ucciso la propria amante e delle reazioni dei suoi compagni di pena. Il testo appare diviso in due parti: nella prima si descrive la convivenza con un condannato a morte e si evoca il rituale, sempre uguale, dell’esecuzione; mentre nella seconda parte trova spazio una riflessione profondamente spirituale che da un sottile, ma forte, parallelo tra senso religioso e religione arriva a concentrarsi sull’aberrante macchina dell’umanità. “La ballata del carcere di Reading” è uno spettacolo fatto di parole e di musica. Sul palco Orsini recita il testo di Wilde servendosi di alcuni volumi che conferiscono alla rappresentazione ancor maggiore autorità. L’interpretazione incredibilmente evocativa del premio UBU piemontese si mischia e a tratti si confonde con le ballate della Marini che intrecciano stili musicali differenti: dalla giga irlandese a Schubert, sino anche ai Beatles. La scena rimane uguale per tutta la durata dello spettacolo, un’ora e mezza senza pause, e si compone di un tavolaccio e qualche sedia disposta in ordine sparso. I due interpreti cambiano frequentemente posizione, favoriti da una costante alternanza di luci ed ombre, facendo percepire l’avanzare del processo dialettico e l’idea che sta alla base dei versi civili di Wilde: lo scrittore inglese non difende un criminale in modo particolare, ma assume il punto di vista dell’umanità impegnandosi in una difesa in favore di tutti i condannati. La dimensione spirituale del testo e l’esplorazione di forme di pietas differenti sono sottolineate dall’unica variazione concessa alla scenografia: ad un certo punto, in fondo al palco, si alza un pesante sipario che lascia intravedere un grosso crocifisso, non a caso reclinato ed appoggiato su un fianco. Il testo portato in scena è frutto di un’ottima traduzione dall’inglese effettuata da Umberto Orsini ed Elio De Capitani. Mentre le ballate interpretate da Giovanna Marini sembrano aver naturalmente rifiutato la traduzione italiana, scegliendo di mantenere l’originale espressione anglosassone per non perdere la necessità della rima e la drammaticità dei versi. La ballata del carcere di Reading Mira (Venezia) – Teatro Villa dei Leoni 14/04/2004
Visto il
al Gobetti di Torino (TO)