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LA BANCAROTTA OVVERO IL RISCHIO ECONOMICO SECONDO GOLDONI

Il crac di Pantalone

Il crac di Pantalone

Il teatro Arsenale chiude la stagione tornando a parlare di un tema caro al suo cuore, quello finanziario.  Dopo “Il banchiere anarchico” di Fernando Pessoa ora tocca a “La bancarotta” di Goldoni, sempre con Mario Ficarazzo nei panni del protagonista.

Non ci vuole Goldoni per sapere che l’irragionevole sperpero di denaro prima o poi porta a restare in mutande. Ciò nondimeno, è sicuramente più che apprezzabile il messaggio che Marina Spreafico, storica direttrice del teatro Arsenale ha voluto dare, mettendo in scena una commedia del celebre veneziano, decisamente meno conosciuta rispetto ad altre, per esempio, “La locandiera”, “Il servitore di due padroni” ,“La bottega del caffé” o “I due gemelli veneziani”.

Il soggetto è semplice. Il mercante Pantalone, per superficialità,  sconsideratezza, poca cura nel fare i conti, ma soprattutto per un’incontenibile passione per il sesso debole, manda in rovina gli affari, la famiglia e anche se stesso. Alla fine, secondo i criteri moderni, gli va anche bene. Al posto di finire i suoi giorni presso qualche Opera San Francesco dell’epoca, egli si trova costretto a doversi trasferire dalla sfarzosa Venezia alla meno costosa campagna, che, considerando il periodo storico, potrebbero essere i dintorni di Mestre. 

“La bancarotta o sia il mercante fallito” (tal’è il titolo originale) si discosta dai canoni della commedia tradizionale. Il problema sul quale è incentrata è sicuramente più importante di un banale intrigo, tuttavia la trama non raggiunge ancora la profondità di un dramma psicologico. In più, orientata all’educazione su un uso responsabile e parsimonioso dei propri beni, pecca – soprattutto nel finale - di qualche leggera caduta nel moralistico. Scriveva Goldoni nei "Memoires" a proposito di questo testo: "Un bancarottiere fraudolento é un delinquente che, abusando della fiducia del pubblico, fa disonore a se stesso, rovina la sua famiglia, deruba, tradisce i privati e fa torto al commercio in generale".

Mai come al giorno d’oggi, per motivi che non necessitano di spiegazioni, è un testo che, malgrado la sua semplicità e i suoi difetti, si presenta come un vero pozzo di generalizzazioni politiche e di accenti sociali. Tuttavia Marina Spreafico, non ha fretta di attingere al suo contenuto e preferisce affrontarlo in una prospettiva più classica, mettendo in risalto soprattutto la sua importanza dal punto di vista storico-letterario. Come ben si sa, “La bancarotta” ha posto inizio a quello che Goldoni stesso aveva chiamato “la mia riforma”. In pratica ciò voleva dire la sostituzione dei vecchi canovacci, lasciati alla libera interpretazione degli attori, con un copione scritto; delle maschere tradizionali con uno studio più approfondito dei caratteri. Una modernizzazione che ha permesso al teatro italiano di acquisire un assetto più rispondente alle esigenze dell’epoca che rimane tale ancora oggi.

Lo spettacolo è allestito come un popolare teatro di piazza, senza un vero palco. Gli attori passano in mezzo alla platea e il pubblico, pigiato intorno lo spazio scenico ha la sensazione di sbirciare quel che accade dall’altra parte dell’immaginario proscenio. La versatile scenografia – frutto della collaborazione del teatro con la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano – è costituita da facilmente spostabili incastellature esaedriche di varie grandezze che permettono di ricreare ora l’atmosfera della casa di Pantalone, ora delle stanze di sua moglie Aurelia, ora della bottega delle stoffe. Creano l’atmosfera dell’epoca anche gli splenditi costumi teatrali dello storico laboratorio Brancato.

Mario Ficarazzo interpreta la parte dello sventato mercante. Nonostante i gravi problemi finanziari che su di lui incombono, il suo personaggio di incallito viveur se ne infischia e continua le sue avventure amorose come niente fosse. Persino l’idea di finire in un buco di provincia non lo rammarica più di tanto. Sicuramente anche lì riuscirà a trovare qualcosa da fare per passare il tempo in allegria. Ficarazzo interpreta un uomo immaturo e ingenuo, una specie di bambinone che, immune a ogni tipo di ramanzina, di rimprovero, persino a una sculacciata, farebbe cadere le braccia anche all’educatore più severo. 

Sentimenti diversi suscita il personaggio di sua moglie, pretenziosa fashion victim con l’evidente disturbo dello shopping compulsivo. Claudia Lawrence lo interpreta con fare allegro e aria briosa. L’arroganza di questa limitata signora borghese costituisce nello spettacolo un fattore irritante di tale intensità che, assistendo ai battibecchi tra lei e il suo marito - le scene comiche, probabilmente, meglio riuscite - il pubblico, malgrado tutti i difetti esibiti dal personaggio di Ficarazzo, inconsciamente prende le sue parti.

Disperati sono i tentativi di Leandro (Mattia Maffezzoli) di salvare quel poco che gli rimane dalla sprovvedutezza del padre. La sua è sicuramente la parte più drammatica di tutto lo spettacolo, mentre potrebbero essere ancora più di effetto le parti di Clarice (Lorena Nocera) e del conte Silvio (Giovanni di Piano). Ma già nello stato attuale permettono di capire bene la natura furfantesca dei loro personaggi.

Ciò nondimeno, c’è qualcosa in questa messinscena che crea la sensazione di avere davanti un bicchiere non propriamente pieno.  I semplici e ingenui soggetti teatrali dell’epoca di Goldoni, ai giorni nostri indubbiamente necessitano di un’ulteriore infiorettatura con l’aggiunta di qualche scherzoso orpello, malizie conosciute sia dagli attori che dal pubblico grazie alla commedia dell’arte. Per non trovarsi schiacciate dal concetto, le storie semplici richiedono creatività e inventiva. Il gioco al limite, l’eccesso, la monelleria sono attese dallo spettatore.

La regista Marina Spreafico, probabilmente non volendo venire a contesa con Ronconi o Strehler, ha preferito percorrere una strada diversa. In questo caso, costruendo uno spettacolo un po’ all’antica, doveva contare sugli attori, cavando l’essenza satirica dalle loro capacità artistiche. Tuttavia, molti appezzamenti fertili sono rimasti fuori l’aratura. Le scene davvero divertenti scarseggiano. Persino all’eterno pasticcione Truffaldino (Fabrizio Rocchi) e al suo non meno maldestro amico Brighella (Paui Galli) sono riservate parti più che modeste che, probabilmente, non hanno permesso agli attori di tirare fuori il meglio di sé. Al contrario, nel quadro del “bunga-bunga” orchestrato da Pantalone risultano senza dubbio ben riuscite sia la grottesca scena con la straniera (Vanessa Corn) sia lo spiritoso intermezzo ballettistico mascherato (con Claudia Lawrence), dimostrando ancora una volta con che prontezza il pubblico risponde alle battute, soprattutto quelle che tracciano dei paralleli tra il passato e il presente. In generale, una marcata impronta melodica o un passo danzante in più, senza togliere nulla a Goldoni, avrebbero potuto  attribuire allo spettacolo più vivacità e screziature.

Per concludere, l’impressione che si viene a creare è che non sia stata trovata ancora quella chiave che permetterebbe a un’antiquata commedia di  risuonare in una tonalità nuova e fresca e al lavoro di un regista di trasformarsi in un vero evento.

Visto il 29-05-2012
al Arsenale di Milano (MI)