Lirica
LA BATTAGLIA DI LEGNANO

Notizie dal deposito

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La battaglia di Legnano ebbe la sua prima rappresentazione proprio a Roma (27 gennaio 1849) al teatro Argentina, in quanto commissionata espressamente dai triumviri della Repubblica romana per rafforzare lo spirito dei patrioti giunti da tutta Italia: contrariamente a quanto oggi si intende (o si vuole intendere), la Lega lombarda è simbolo di unità nazionale e non di separazione secessionista, un simbolo italiano e non padano. Infatti l'opera è l'unica di Verdi con chiaro intento di propaganda risorgimentale: ecco perchè nel 1961, in occasione del centenario dell'unità d'Italia, fu eseguita alla Scala e oggi, in occasione dei 150 anni, è in cartellone all'Opera di Roma (al Costanzi in precedenza era stata una sola volta nel 1983). A rendere l'idea bastano il coro iniziale (“Viva Italia! Sacro un patto tutti stringe i figli suoi: esso alfin di tanti ha fatto un sol popolo d'eroi”) o quello finale (“Dall'Alpi a Cariddi echeggi vitoria! Vittoria risponda l'Adriaco al Tirreno”).

Il regista Ruggero Cappuccio (chiamato in sostituzione dell'annunciato Gabriele Lavia) parte dall'idea che la battaglia di Legnano, svoltasi nel 1176, è oggi la difesa dell'identità culturale nazionale, diventando paradigma di un popolo che difende il proprio patrimonio storico e artistico contro la bassa considerazione che se ne ha attualmente in Italia.
L'allestimento è ambientato nel deposito di un museo, luci piovono dall'alto filtrate da lucernari ad illuminare opere pittoriche su cavalletti o archeologiche dentro cassoni, dove i restauratori sono intenti a ripulirle e conservarle. Ecco quindi il Perseo di Cellini, Bacio e Meditazione di Hayez, il cartone per la battaglia di Anghiari di Leonardo, Delacroix e la Grecia morente sulle rovine di Missolungi, Le sette opere di misericordia di Caravaggio. La scena di Carlo Sala è declinata in quadri che fanno da sfondo all'azione anche se non necessariamente legati ad essa dal punto di vista contenutistico. Il senso di depauperamento del patrimonio culturale nazionale è evidente nel cimitero in proscenio, elmi di varia fattura, alcuni simili a maschere e teschi, sparsi sulla terra. Rarefatta la scena di addio di Rolando a Lida e al figlioletto (forse un riferimento al saluto di Ettore e Andromaca alle porte Scee) con sullo sfondo una barra arancione orizzontale di luce su cui si appoggia un sole sfocato. Nel finale una cornice contorna il boccascena e una restauratrice appoggia il pennello al “quadro” finale dell'opera.

Anche i costumi di Carlo Sala paiono essere presi dal deposito di un museo della moda (altra componente dell'identità italiana), in quanto appartengono ad epoche diverse e slegate tra loro; ciò pare confermato nel secondo atto, dove l'arrivo del Barbarossa ha come sfondo una pletora di manichini con su abiti storici che nel finale si sollevano con due ponti mobili. Arrigo indossa per tutta la recita i guanti neri, Rolando uno nero e uno rosso; Arrigo ha un fazzoletto rosso al collo, Rolando sempre corpetto e cravatta su camicia bianca. Il coro ha cappotti e impermeabili contemporanei, Lida e Imelda sono in fogge ottocentesche.
Efficaci le luci di  Agostino Angelini, soprattutto nell'inizio e nel finale con l'atmosfera da deposito; le quinte sono per la maggior parte del tempo rosse e verdi alternate.
Se l'idea registica appare condivisibile e oltremodo attuale, essa non si traduce in un convincente e comprensibile apparato di movimenti e gesti (che restano piuttosto di maniera) e lo svolgimento del dramma e la tensione narrativa sono assicurati solo dalla musica.

Pinchas Steinberg dirige l'orchestra puntando sulle morbidezze della partitura e, al tempo stesso, non rinunciando ai furori risorgimentali; il direttore tiene tempi perfetti, serrati, che gli consentono di curare i dettagli e al tempo stesso di seguire la continua onda melodica, evidenziando le figure dei protagonisti (qui c'è tutto l'influsso francese). La componente risorgimentale ne esce esaltata senza retorica per certe finezze di scrittura musicale che fanno della partitura una delle più interessanti del Verdi che sta uscendo dagli “anni di galera”. Ottimo l'organo che risuona all'inizio del quarto atto, come ottima è la prova del coro, particolarmente presente in scena, preparato da Roberto Gabbiani.

Luca Salsi è un Rolando nobile e intensissimo, dalla voce morbida, che tornisce il verso in modo splendidamente verdiano, arrivando a momenti di vera commozione, come in “Se al nuovo dì pugnando” (quando affida all'amico Arrigo la vita di moglie e figlio nel caso lui morisse in battaglia) a cui segue l'impeto di “Ah! Scellerate alme d'inferno”. Tatiana Serjan è una Lida dall'aspetto di grande diva, gli abiti lunghi e svolazzanti, la collana di perle che dondola sul seno, una presenza forte e di grande temperamento sottolineata da voce scura e di ragguardevole estensione. Yonghoon Lee è un Arrigo dalla voce potente e dal timbro luminoso che convince sia nei momenti di abbandono lirico (l'amore, l'amicizia) che in quelli maggiormente concitati, avendo i registri tutti corposi ed espressivi.
Adeguati i comprimari: Dmitriy Beloselskiy (Barbarossa in divisa da gerarca nazista con lungo mantello rosso), Gianfranco Montresor (Marcovaldo in cappottone appoggiato sulle spalle e braccia invisibili), Tiziana Tramonti (Imelda in lussuoso abito borghese ottocentesco). Con loro Stefano Rinaldi Milani (primo console), Alessandro Spina (secondo console), Ezio Maria Tisi (il Podestà di Como), Pietro Picone (un araldo) e Vincenzo Di Betta (uno scudiero di Arrigo).

Diversi posti vuoti in sala, molti applausi durante la recita e alla fine per un'opera sicuramente da seguire, a torto ritenuta minore nella produzione di Verdi e che deve essere necessariamente ascoltata nell'ambito delle celebrazioni per i 150 anni dell'unità d'Italia. Al teatro dell'Opera di Roma va il merito di averla riproposta a chiusura della parte di cartellone dedicata all'evento.

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