Prosa
LA BISBETICA DOMATA

Un imperdonabile <i>shakespearicidio</i>

Un imperdonabile <i>shakespearicidio</i>
Quando si apre il sipario vediamo un'allegra masnada di giovani, uomini e donne, che si divertono in un dolce far niente. Poi un capo-compagnia sollecita William affinché finisca di scrivere una commedia con la quale riaprire il teatro, chiuso da troppo tempo. Inizia così la rappresentazione de La bisbetica domata. Un inizio interessante che fa riferimento alle due differenti versioni della commedia, una delle quali non reca nel frontespizio il nome del William Shakespeare ma dice che la commedia fu messa in scena dalla compagnia del conte di Pembroke. Un nuovo prologo che sostituisce quello originale, più complesso e ugualmente metateatrale (allora perchè sostituirlo?). Tutti allestiscono la scena (inesistente, una pedana rialzata al centro e quattro porte basculanti, due per quinta più un praticabile di fondo dove ogni tanto i personaggi passeggiano per dare aria alla scena) preparandosi per la recita, mentre, microfonati, alcuni attori e attrici cantano una canzone sullo "spettacolo che va cominciare"... Le musiche sono fatte con strumenti elettronici, dando un imbarazzante "effetto cellulare", approssimate nello stile che che non fa capire se vogliono essere moderne (non ci sarebbe nulla di male) o adeguate ai tempi del Bardo. Poi più nessuna canzone (ce ne sarà una seconda a fine spettacolo) solamente dei tappeti musicali a sostegno dell'azione, didascalici, esornativi, che fanno venire il dubbio siano stati messi per sostenere la scena altrimenti poco incisiva. Spesso sottolineano il movimento e il lancio di oggetti, come nei disegni animati: un servitore lancia dei libri al suo padrone e la musica registrata fa "swuuush", un effetto più da avanspettacolo che da teatro elisabettiano. D'altronde tutta la messinscena pecca per la sovrabbondanza di moine, versi, urla, gridolini degli attori che soffocano completamente il testo tanto che invece di Shakespeare potrebbe essere benissimo quello di Castellacci e Pingitore al salone Margherita di Roma. Quel che in Shakespeare è suggerito, sussurrato, qui è ribadito, esplicitato, urlato, esagerato, stravolto. Gremio, il vecchio pretendente di Bianca, è effeminato, Bianca è interpretata da una ragazza nera (ma che trovata spiritosa!), il prete che sposa Caterina e Petruccio è un omosessuale, il sarto diventa spagnolo (la musica lo introduce con un flamenco alla Gipsy King) e anche lui, indovinate? Esatto! Gay (si sa i sarti sono tutti dell'altra sponda e in Spagna possono anche sposarsi...) e parla uno spagnolo inventato che non fa certo ridere come l'inglese di Sordi. (Uno spettatore davanti a noi si è lasciato scappare uno sconsolato ma che c'entra?). La dimora lussuosa di Petruccio viene descritta come catapecchia e i suoi servi hanno il naso posticcio come la strega del mago di Oz camminando curvi e ingobbiti facendo suoni gutturali... Tutti elementi che fanno capire come l'immaginario cui la regista fa riferimento non è quello teatrale quanto quello televisivo, in un maelström di generi, registri recitativi, giocolerie da circo (o da commedia dell'arte nella sua versione più ovvia e banale) che poco e niente hanno a che fare con Shakespeare, che è eleganza, leggerezza, sottile ironia (eppure sarebbe bastato alla regista vedere una qualsiasi delle commedie portate sul grande schermo da Kenneth Branagh). La colpa più grave della messinscena è che non dà nessun avviso, nessun segnale che si tratta di una rilettura del testo, operazione sempre legittima, se coerentemente calata in un contesto, se insomma le forzature sono giustificate da una lettura dell'opera. Questa Bisbetica domata invece non vuole essere una interpretazione ma ha la presunzione di presentarsi al pubblico come La bisbetica domata di William Shakespeare tout-court, per cui uno spettatore mal in arnese può pensare che lo sfacelo che si compie sul palco sia opera del Bardo. Un vero e proprio ...shakespearicidio opera di Caterina Costantini che non ha il coraggio del proprio fare teatro e non firma questo stravolgimento totale ("liberamente tratto da" anche se non avrebbe sottratto lo spettatore alla noia e all'imbarazzo di una messa in scena infelice avrebbe almeno reso giustizia all'opera di William) spacciando la sua crusca per farina inglese. Niente rimane dell'impianto del testo, le citazioni colte sono espunte, la lettura fine della psicologia femminile è soffocata da espedienti da avanspettacolo (la vedova ha la voce altisonante e buffa, Lucenzio balbetta, etc...) la misoginia del testo di Shakespeare come risposta alla tradizione medievale di personaggi femminili indomiti è liquidata da un registro favolistico (da Melevisione), il complesso ed elegante gioco di travestimenti e di teatro nel teatro del testo originale qui diventa una banale occasione di ridere. Anche in Shakespeare lo si fa, ma lì si ride con i personaggi cogliendo le loro allusioni a un mondo e alle sue consuetudini mentre nello scempio di Costantini si ride dei personaggi. Come spiegare altrimenti la presenza altissima di omosessuali ed effeminati (totalmente assente nel testo originale) visti dalla regista come elemento comico, con una mentalità da anni 50, e una malcelata e imperdonabile omofobia? Perché l'equivoco di fondo è che la Bisbetica domata sia una farsa, una storia comica, popolare, sbracata, che Caterina Costantini sviluppa più come fosse una commedia di Plauto che una di Shakespeare... Dispiace vedere tanti errori tutti nello stesso spettacolo soprattutto per gli attori e le attrici che meritavano una messa in scena che potesse dirsi tale, perchè sono tutti bravi (Selene Gandini un palmo sopra tutti gli altri) anche se lo spettacolo sembra dire il contrario. Una messa in scena inconsistente e grossolana che per fortuna si dimentica appena messo piede fuori dal teatro. Il nome della regista no, quello non lo dimenticheremo tanto facilmente...
Visto il 26-02-2010
al Ghione di Roma (RM)