Lirica
LA BOHèME

Bohème: la nebbia dell'animo

Bohème: la nebbia dell'animo

In questi tempi estremamente difficoltosi per il mondo teatrale è necessario mettere in atto strategie organizzative, che per un settore dai costi esorbitanti come quello operistico, sono diventate fattore indispensabile sia per la salvaguardia del livello qualitativo globale che per la sopravvivenza stessa del cartellone. Francesco Bellotto, direttore artistico del Bergamo Musica Festival "Gaetano Donizetti" giocoforza votato in massima parte ad esaltare il genio della Città alta, ha intelligentemente messo in atto una serie di sinergie con altri Teatri volte a favorire l'interscambio di titoli e di pubblico. In quest'ambito rientra La Bohème coproduzione del Bergamo Musica Festival, Teatro Sociale di Rovigo, Teatro Comunale di Padova e Teatro dell'Opera Giocosa di Savona, che ha debuttato a Rovigo ormai un anno or sono ed ora è stata allestita sulle tavole del "Donizetti" di Bergamo con un cast rinnovato. Nelle note di regia recanti il titolo Una notturna leggenda immortale, Ivan Stefanutti ha declinato per cinque volte il termine "nebbia". La sua impostazione ha puntato tutto sull'atmosfera; concretamente brumosa solo nell'incipit del terzo quadro, alla Barriera d'Enfer, dove la fumana ha preso il posto della prevista neve: innovazione meteorologicamente corretta, nonostante la piccola discrepanza col canto degli spazzini ("Fiocca la neve...") e con le suggestive soluzioni musicali composte da Puccini per descrivere il lento cadere dei fiocchi. Ma ovviamente quello ideato da Stefanutti non è un puro e semplice evento climatico bensì metaforico; nebbia dell'anima, prematuro appannarsi di giovani vite spente da una esistenza trascorsa tra stenti ed espedienti. Il grigiore ha dilagato ovunque, sui palazzi di Parigi (veramente molto belle le scenografie anch'esse a firma Stefanutti), sugli abiti (dello stesso) di foggia posticipata al periodo tra la prima e la seconda guerra mondiale; perfino sui volti smunti, appena rischiarati da luci livide, dell'umanità dolente che abita il Quartiere Latino: lattaie in bicicletta, una sgangherata prostituta che attende clienti all'uscita del Caffè Momus, uomini rissosi, marinai alticci e un venditore di palloncini, ovvero di sogni destinati a sfuggire di mano. La monocromia ha rimandato ai film in bianco e nero, ad uno stile neorealistico attinto al cinema francese dalle declinazioni più cupe ed inquietanti. Il passaggio tra il clima scherzoso nella soffitta degli scalcinati artisti e la morte di Mimì, non è avvenuto nelle battute repentine dettate dalla partitura; la spensierata fanciullezza dei protagonisti maschili non si è di colpo infranta contro la drammaticità della vita. Per Stefanutti essi sono stati costretti a maturare precocemente molto prima dei fatti narrati da Illica e Giacosa, a cagione del perenne misurarsi con sofferenze e privazioni. Gli spiritosi duelli a colpi di ramazza, i balli con improbabili "vezzose damigelle" o le risibili battaglie a cuscinate, non sono state presentate nei consueti termini di inconsapevoli spensieratezze, ma hanno assunto un retrogusto amaro, triste simulacro di una felicità che per avvilimento interiore, nebbia dell'animo appunto, è risultata inafferrabile.
   Decoroso il cast, accomunato dal vezzo di forzare l'emissione alla ricerca di una resa volumetrica che ha comunque suscitato giusti apprezzamenti di pubblico. Yolanda Auyanet ha colpito per la dolcezza nelle mezze voci e la morbida malleabilità del timbro, dai colori altrettanto suadenti. Convincente Mimì alla quale le disillusioni non hanno sottratto amabilità, ma sono state tradotte emotivamente  A lei i maggiori consensi e tre "brava" piovuti dal loggione. Giordano Lucà tenore dalla voce squillante, omogenea, leggermente nasale negli acuti di discreta potenza, aggraziato nel fraseggio, dovrebbe curare maggiormente la pura e semplice recitazione. Quando ha assistito immobile allo svenimento di Mimì lasciandola cadere con un tonfo a terra, senza aiutarla a rialzarsi dopo averle spruzzato il viso d'acqua ("Ed ora come faccio? Così!") non è parso avere incarnato al meglio lo spirito romantico e passionale del poeta Rodolfo. Luca Grassi di grande potenza e buona tenuta, ha reso Marcello riflessivo, forse il più maturo dei quattro e non a proprio agio con lo scherzo, come dettato dalla regia. Le sue scaramucce con Musetta hanno assunto un tono consapevole, di vissuto intimistico. Novella Bassano, non sempre tarata al meglio nel bilanciamento dei volumi sonori, ha assoggettato il canto alla resa scenica. Musetta impetuosa, di grande veemenza, dai modi studiatamente spicci ai limiti dello sgarbato nei confronti di Alcindoro: a lei è toccata l'interpretazione più difficoltosa, ben portata a termine, di esponente di quei bassifondi di periferia immaginati da Stefanutti. Donato Di Gioia possiede un mezzo vocale di gradevolissimo timbro ed estremamente duttile con il quale ha caratterizzato Schaunard; una gestualità sciolta e naturale assai marcata, dilagata anche in ambito canoro con scelta stilistica che ci ha lasciati dubbiosi (dopo tutto ci troviamo in ambito verista, non di opera buffa). Giuseppe Nicodemo, Colline corretto benché  anonimo, avaro in colori scenici e vocali. I ruoli di Benoit e Alcindoro sono stati affidati ad un tenore, scelta cui non riusciamo ad attribuire motivazione e che ha lasciato in bocca un sapore strano, nonostante Max René Cosotti, di lunga esperienza, si sia rivelato padrone della scena sostenuta con verve apprezzabilmente misurata, senza i consueti eccessi. Completavano il cast Gabriele Colombari, Parpignol e Peolo Bergo, David Antonio Santos, Nicolò Donini rispettivamente Sergente dei doganieri, Venditore ambulante e Doganiere. Sul podio della Filarmonia Veneta e alla concertazione, Stefano Romani, che ha impresso ampie pause utilizzate come trampolino per abbandonarsi a belle aperture melodiche. Dal gesto ampio scaturito da personale trasporto e proteso alla delineazione della vasta gamma coloristica pucciniana, resa con partecipata sensibilità, ha denotato qualche difficoltà nel mettere assieme buca e palco, scappato di mano (senza possibilità di redenzione) all'aprirsi del secondo quadro: intemperanza rientrante tra i fisiologici incerti di percorso. Buoni il Coro Lirico Veneto e I Piccoli Cantori San Bortolo di Rovigo diretti da Giorgio Mazzucato.
Teatro esaurito in ogni ordine, lodevolmente in grado di attrarre sia melomani che semplici appassionati

Visto il 19-10-2012
al Donizetti di Bergamo (BG)