Lirica
LA BOHEME

Boheme nella banlieue

Boheme nella banlieue

Per festeggiare i 120 anni di Bohème, che debuttò proprio a Torino il primo febbraio 1896, il Regio propone un nuovo allestimento firmato da Alex Ollé della Fura dels Baus per inaugurare la stagione in coproduzione con il Teatro dell'Opera di Roma. Il regista catalano ambienta l’opera in una periferia del nostro tempo dove s’intrecciano storie di amore e umana miseria, tutte all’insegna della fragilità e della precarietà. L’ambientazione moderna non stravolge il senso di fondo dell’opera, ovvero la fine della giovinezza e delle sue illusioni, ma la declina nelle sue note più amare, rendendola immediata e riconoscibile al pubblico d’oggi. Ritroviamo le battute scherzose, la gioia improvvisa propria della gioventù, lo sbocciare di un amore vero, ma come non mai percepiamo come la felicità, se pur immensa, sia breve, e gioia e dolore sembrano essere due facce di una stessa medaglia.

Di forte impatto  l’impianto scenico di Alfons Flores caratterizzato da una serie di impalcature praticabili che si sviluppano in altezza come torri e che creano lo scheletro di condomini simili a gabbie metalliche. Il buio, reale e metaforico, caratterizza  questa banlieue degradata vista solo di notte, che si staglia contro il nero dello sfondo, dove spesso salta la corrente elettrica (Mimi bussa a Rodolfo durante un black out del quartiere e il grande duetto d’amore del primo atto si svolge nella semioscurità). Buio, ma anche tanto freddo (tema peraltro ricorrente nell’opera), suggerito, oltre che dalla neve, dal metallo delle strutture, dai numerosi condizionatori appesi sulle facciate, dalle luci taglienti di Urs Schönebaum. In questo contesto ostile osserviamo scene e situazioni che suscitano simpatia: la coppia che si rincorre per gioco lungo le scale antincendio, la vita quotidiana in un modesto quanto allegro appartamento di studenti. Immagini simultanee viste dal cortile (come non pensare a Hitchkock) di una gioventù che vive ai margini della società, ma animata da una spensieratezza che rende il degrado sopportabile. I condomini potrebbero essere quelli della periferia di una grande città qualsiasi, Torino in primis, e più che nel Quartiere latino sembra di essere al mercato di Porta Palazzo con i venditori abusivi che stendono la merce per terra e si dileguano all’arrivo della polizia. L’impianto scenico è modulare e suscettibile di veloci trasformazioni a vista con i palazzi che scorrono per fare entrare in scena il Café Momus, un bar trendy con acquario e cameriere dai capelli blu frequentato dalla buona società. Triste e desolata la Barriera d’Enfer con le saracinesche metalliche serrate, illuminata solo dalla croce verde di una farmacia di turno e dalle luci rosse di un night club da cui escono lavandaie-prostitute ubriache ed un barbone sdraiato su di una panchina rattrappito dal gelo. Per rendere ancora più evidente la tragedia e che con la morte di Mimì finiscono per sempre sogni e illusioni, il regista adotta un’immagine forte e la fa morire di cancro, con la testa rasata.

Un movimento scenico naturale e spontaneo e un cast giovane e credibile hanno contribuito al successo dell’allestimento. Nella recita a cui abbiamo assistito il ruolo di Mimi è stato interpretato da Erika Grimaldi, cantante di cui avevamo già apprezzato a Torino la vena intimista ed un naturale riserbo, e anche la sua Mimi  è intima e dolorosa e nel contesto l’avanzata gravidanza (reale) non stona; la voce è lirica e se ne apprezza la morbidezza nei passaggi, talvolta difetta in volume, forse imputabile all’acustica dispersiva della scena. Da seguire il Rodolfo del giovanissimo tenore peruviano Ivan Ayon Rivas che ha convinto per la voce luminosa, una dizione chiara e soprattutto una grande musicalità. Ci è piaciuto anche Il Marcello di Simone del Savio per la presenza forte e la voce baritonale piena di comunicativa. Scenicamente disinvolta, ma dal canto non sufficientemente brillante, la Musetta di Francesca Sassu. Benjamin Cho è  uno Schaunard sonoro, ma il personaggio non è troppo caratterizzato. Molto composto e antiretorico il Colline “moderno” di Gabriele Sagona. Positiva (più dal punto di vista interpretativo che vocale)  la prova di Matteo Peirone nei panni di Alcindoro e Benoit.  Concludono adeguatamente il cast  Cullen Gandy (Parpignol), Marco Sportelli (Sergente) e Riccardo Mattiotto (Doganiere).

Con una concertazione di grande chiarezza Gianandrea Noseda dà una lettura lucida del capolavoro pucciniano, quasi oggettiva, che rende la drammaturgia immediata ed esalta la modernità novecentesca di scrittura. Da parte del direttore si percepisce una conoscenza profonda e ragionata della partitura e proprio per questo analisi di dettaglio e visione d’insieme convivono. Buona la prova del coro diretto da Claudio Fenoglio.

Un pubblico partecipe e caloroso ha confermato il pieno successo della nuova produzione.

Visto il 15-10-2016
al Regio di Torino (TO)