Dimenticatevi le tinte acquarellate, le affettazioni, i bonbon di tante Bohème pucciniane, a partire da quella di Adolf Hohenstein ideata per la prima del 1896, tale e quale recentemente riproposta al Regio di Torino.
Quella che Cristina Mazzavillani Muti porta in scena al Teatro Alighieri di Ravenna, e subito dopo al Teatro Amintore Galli di Rimini (ripresa peraltro di una produzione Ravenna Festival di otto anni fa) è una Bohème insolita, deviante, tutta sui generis.
Disincantata, lugubre, cupa come una notte senza fine, scandita sullo sfondo da tetre proiezioni video in bilico fra espressionismo, simbolismo e surrealismo. Tanto che il freddo tremendo che intride ogni quadro, dalla gelida soffitta dei bohèmiens alla caliginosa Barriera d'Enfer, pare trasmettersi alle nostre ossa.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Disincanto, ironia e ferocia
Tutto si svolge in un palcoscenico quasi sgombro; qualche quinta in movimento attorno ad una sopraelevazione al centro, e minimi indispensabili oggetti di scena. Come il letto di Mimì morente, simile ad un candido altare, o forse ad una tomba. Castigata anche la scena del Cafè Momus, benché la folla ci sia; salvo le piccole stravaganze di un Parpignol/clown venditore di burattini – grande passione del papà della regista, se ben ricordiamo - e dei fiati e tamburi d'una vera banda in divisa, quella cittadina di Ravenna.
Lo spettatore si trova di fronte, insomma, ad una mise en scéne astratta e per nulla didascalica, che preclude ogni svagatezza visiva, che l'immerge in una sorta di sogno indefinito. Uno spettacolo stringente ed accentrato, di converso, sulla recitazione d'ogni singolo interprete, e sulla resa delle singole situazioni psicologiche. Vivido teatro, ad ogni modo, al quale contribuiscono attivamente i moderni costumi di Manuela Monti, le taglienti luci di Vincent Longuemare, le video elaborazioni a cura di David Loom e Davide Broccoli.
Una Mimì da tenere d'occhio
L'Orchestra Giovanile Cherubini sta nelle mani di Nicola Paszkowski, che delinea una cornice strumentale equilibrata ed ineccepibile, accurata nei dettagli, con buon stacco dei tempi. Concertazione che sostiene adeguatamente l'impegno dei cantanti – specie nei concertati - ma che a ben vedere, sotto sotto pecca di debole respiro e di ridotta comunicativa.
Juliana Grigoryan ci consegna una ragguardevole Mimì, permeata da un vena malinconica che ne mette a fuoco il delicato patetico carattere. Il timbro, bello dolce e chiaro, risulta accattivante; la gestione dell'emissione, fine ed accurata; il personaggio in sé, poi, è costruito con diligenza sapiente. Al punto che nel terzo quadro e nel finale la giovane – ma già matura - soprano armena perviene ad esiti strepitosi.
Accanto a lei Alessandro Scotto di Luzio delinea un Rodolfo affettuoso e ardente, sorreggendolo con una vocalità calda, generosa, persino irruente, in cui gli acuti fluiscono facili e luminosi. La figura di Marcello trova in Christian Federici un interprete pressoché perfetto: non solo per la voce fiorente e di bella sonorità, ed omogenea nella gamma; ma anche per la savia tecnica col quale cui viene proposta. Alessia Pintossi tratteggia una deliziosa Musetta, riuscendo ad essere maliziosa e piccante, ma non caricata o fuori misura.
Buon lavoro di squadra
Spigliati e vivaci al punto giusto gli altri coinquilini della soffitta parigina: cioè il solido Colline di Andrea Vittorio De Campo - intrigante voce di basso, invero – e il ben timbrato Schaunard di Clemente Antonio Daliotti. Decisamente insopportabile e querulo – a meno che proprio così lo voglia la regia – il Benoît di Fabio Baruzzi; Graziano della Valle è un buon Alcindoro; il mimo Ivan Merlo raffigura un silenzioso, ambiguo Parpignol.
Ineccepibile la prova sia del Coro del Teatro Municipale di Piacenza, sia dei piccoli cantori del Ludus Vocalis, preparati da Corrado Casati.
La recita riminese di domenica 2 aprile, che qui recensiamo, è stata anche trasmessa in diretta streaming, ed è tuttora disponibile sul portale regionale OperaStreaming.