Lirica
LA BOHéME

Dal verismo alla commedia dell'arte

Dal verismo alla commedia dell'arte

La stagione d'opera al Coccia di Novara ha avuto prosecuzione con La Bohème di Giacomo Puccini, che di fatto ha segnato il passaggio ad un nuovo corso. Il cartellone deciso dalla precedente direzione artistica giunta a fine mandato, ha subìto alcuni aggiustamenti in itinere decisi dal direttore organizzativo Renata Rapetti, facente funzioni ad interim essendo in corso di svolgimento il bando internazionale per la nomina di un sovrintendente. Con l'obiettivo di creare alleanze che innalzino il livello qualitativo ed abbattano i costi sempre più onerosi, Rapetti si è attivata per instaurare una collaborazione sia artistica che organizzativa con il Regio di Torino, trovando l'appoggio dei Sindaci delle due Città. L'accordo è sfociato in questa produzione che reca la paternità abbinata del Coccia e del Regio. Sulle medesime basi è in via di definizione la prossima stagione; gli intenti futuri sono volti ad ampliare i contatti con i Teatri di Tradizione ed aprire l'ottica verso la geograficamente limitrofa Milano.
L'allestimento deriva da una rivisitazione dello storico originale firmato dal grande scenografo Eugenio Guglielminetti nel 1984. La volontà di renderlo adattabile ad un boccascena di dimensioni ridotte rispetto a quello torinese, ha prodotto un risultato gradevolmente sovrabbondante: accavallarsi di tetti nel prim'atto, brulichio di negozi e locali nel secondo, rincorrersi di casupole nel terzo. Quartieri miseri, preda di una povertà di mezzi controbilanciata dalla vivacità degli abitanti. Il regista Vittorio Borrelli infatti ha di molto accentuato i caratteri giocosi dei protagonisti, espandendo il congenito contesto verista fino a condurlo in ambiti rasentanti la Commedia dell'Arte. Personalizzazione giustificata dai modi in cui è stata svolta, cioè in fedeltà al libretto, data la presenza di tutti gli elementi oggettivi che vengono cantati (con la sola eccezione di "al buio non si trova": la luce piena ha reso inverosimile il nascondere ed il successivo fingere di cercare la chiave della "cameretta") e soprattutto con coerenza musicale, stante l'attenta rispondenza gesto-nota a nostro parere elemento imprescindibile in ogni regia d'opera. I caratteri sono stati spinti fino a livelli di assoluta esuberanza mediante piccole forzature stilistiche, nel caso di Benoit tracimate nella farsa, o temporali, come quando Schaunard si è atteggiato ad Oliver Hardy; con esiti che hanno divertito il pubblico. L'ambientazione è stata vivacizzata dall'inserimento, sempre corretto, di molti particolari: un manichino ad impersonare nel prim'atto il Faraone che Marcello affoga nel Mar Rosso dipinto sulla tela e nell'ultimo atto abbigliato con la "vecchia zimarra", o ancora nel secondo il cuoco munito di imponente cappello a sbuffo al lavoro all'interno del Caffè Momus. Soprattutto abbiamo apprezzato uno straordinario manipolo di voci bianche dell'Accademia di Canto e Musica da Camera "M. Langhi", non solo a tempo ed intonate anche in situazioni sceniche impegnative, come il saltare a piè pari o lo scalciare facendo i capricci (un plauso al direttore Alberto Veggiotti per l'eccellente risoluzione dell'impervio "vò la tromba e il cavallin") inoltre di tale abilità recitativa da avere addirittura visto affidata loro una scherzosa canzonatura della "Ritirata" militare. Ma sicuramente l'elemento di spicco che ha caratterizzato l'impostazione di Borrelli, è stata una Mimì protagonista. Lei prima ancora che Rodolfo, ha artificiosamente spento il lume per avere la scusa d'attaccare discorso. In tal guisa la vicenda è stata inquadrata sotto la luce, questa sì verista, di una donna non certo timida anzi smaliziata e allusivamente sorridente. Letteralmente una "gaia fioraia" pianificatrice ed artefice della propria storia d'amore, salvo rimanere sopraffatta dai sentimenti. Al momento della morte, Rodolfo si trovava seduto sul letto dandole le spalle, intento a rigirare tra le mani la cuffietta rosa simbolo dei giorni lieti. Un uomo quindi innamorato soprattutto dei bei ricordi, rifuggente la realtà che seguiva il suo inesorabile corso a pochi centimetri di distanza. Mimì, dopo aver confidato a Musetta "più non reggo...voglio morir con lui, forse m'aspetta", spirerà invece in una desolata solitudine interiore che ne ha amplificato lo strazio.
L'intero cast ha dimostrato grandissima rispondenza interpretativa ai dettami registici. Il soprano Elena Rossi dalla voce sicura nell'intera gamma, potente negli acuti risolti con la necessaria partecipazione emotiva e sfociati in impetuose dolcezze affidate alla suadente timbrica, è stata scenicamente capace di giocare con le armi di seduzione, di abbandonarsi al sentimento, infine di comunicare i risvolti toccanti della psicologia di Mimì. Il tenore Niels Jorgen Riis, che forse non ha trovato in Rodolfo il ruolo a lui maggiormente congeniale, ha sopperito con discreto sfoggio di coloriture alla potenza di emissione esordita non al meglio, per poi via via aver proceduto in apprezzabile crescendo; buono il trasporto con cui si è reso complice del ruolo di seduttrice rivestito dalla compagna. Marcello, il baritono Domenico Balzani, ha padroneggiato il personaggio e le corde vocali, che hanno  trovato i punti di forza nel fraseggio e nella tenuta. Corretto Francesco Paolo Vultaggio che, nei panni di Schaunard, si è duttilmente prestato ad adeguare il canto alle accentuazioni richieste dalla regia. Così come all'insegna delle marcature caricaturali si è svolta la doppia prestazione di Luca Ludovici, dall'emissione perfino troppo potente per i "piccoli" ruoli di Benoit e Alcindoro. Ha conquistato il pubblico del Coccia la sicura vocalità di Maya Dashuk, una Musetta impetuosa, prorompente e sicura di sé. Abbiamo tenuto Andrea Mastroni per ultimo, per potergli dedicare una menzione speciale. Una voce di basso corposa e suadente, sontuosamente colorita, tecnicamente eccellente. Il suo Colline ha denotato una resa scenica superlativa per aver assorbito le indicazioni della regia mediandole attraverso la propria spiccata personalità; un artista completo e maturo nonostante la giovane età. Di lui continueremo a sentir parlare. Coro del Teatro Coccia guidato con puntualità da Gianmario Cavallaro. Il direttore Giuseppe Acquaviva ha usato polso fermo nel ricondurre talune intemperanze espressive del palcoscenico entro i giusti ambiti della "buca" e del tessuto musicale; ha con morbidezza condotto l'Orchestra Filarmonica Italiana verso i respiri melodici tipicamente pucciniani. Una lettura molto rispettosa e mai invasiva.
Nessuna richiesta di bis e applausi contenuti durante lo svolgimento, fattisi di maggior spessore in occasione della ribalta finale.

Visto il
al Coccia di Novara (NO)