Genova, “La Bohème” di Giacomo Puccini
VITA DI BOHEME FRA REALISMO E POESIA
La Bohème è una delle opere più conosciute del repertorio e la grande popolarità delle sue melodie rischia paradossalmente di occultarne l’originalità. L’opera infatti ha un linguaggio musicale rivoluzionario, colloquiale e duttile, che si adatta in modo impressionistico all’intrecciarsi di personaggi e atmosfere e che, pur rappresentando il mondo quotidiano, ne trasfigura i dati realistici per metterne il risalto tutto il lirismo e la capacità emozionale.
L’allestimento creato da Jonathan Miller qualche anno fa e ora in scena a Genova conserva intatta l’originale efficacia perché ha il merito di essere poetico ma non stucchevole, conciliando realismo e lirismo, vita quotidiana e sogno, e va dritto al cuore sfruttando con intelligenza tutti gli spunti drammaturgici e la capacità universale di Bohème di continuare a coinvolgere e commuovere generazioni di epoche diverse.
Le scene di Dante Ferretti ambientano con delicato realismo l’azione in una Parigi anni ‘30 declinata nei toni del beige e del grigio come quadri di Braque o film d’autore. La soffitta suggerisce la vita dei bohèmiens fra joie de vivre e miseria, con mobili e cianfrusaglie da bric à brac e locandine di film con le provocanti dive dell’epoca appese alle pareti per mitigare lo squallore dell’ambiente. Vivace la scena al quartiere latino che, grazie al movimento scenico delle masse e dei protagonisti che entrano ed escono dalle porte vetrate del ristorante, ricrea l’illusione di uno spazio ugualmente funzionale come interno e come esterno e ricorda i dehors delle brasseries frequentate in quegli anni da filosofi e poeti. Il terzo quadro mette in risalto la vita quotidiana e il risveglio della città alle prime luci dell’alba e offre scorci suggestivi da “Parigi minore” riconoscibile nell’architettura delle case, nei murali pubblicitari dipinti sulle facciate dall’intonaco screpolato, nelle stradine romantiche in cui come in un film s’incamminano in dissolvenza sottobraccio fino a sparire Rodolfo e Mimì, forse per l’ultima volta felici, sotto la luce di un lampione.
Con un’interpretazione ipersensibile e nervosa Cristina Gallardo Domàs sottolinea tutte le componenti di timidezza, fragilità, insicurezza di Mimì e, con i grandi occhi spalancati, i gesti impacciati e compressi, lo stringersi nel cappottino striminzito, mette in luce, oltre al progredire della malattia, lo stato sociale della grisette e il suo rifugiarsi nel sogno. La voce è suggestiva soprattutto nei piani e nel registro centrale e, se “mi chiamano Mimì” risulta un po’ troppo forte e enfatico, aumentano nel corso dell’opera controllo e finezze espressive come nel sorprendente “Donde lieta uscì” cesellato con tale varietà dinamica e miriade di accenti da rifuggere ogni artificio, creando proprio col canto la sensibilità e la comunicativa di Mimì.
Massimiliano Pisapia frequenta da tempo il ruolo di Rodolfo e conquista per il canto spontaneo e colloquiale che, unito a indubbie doti timbriche, contribuisce a suggerire un personaggio giovane e naturale, affettuoso senza essere patetico nel canto e nel gesto. Espressivo il fraseggio e sicuri gli acuti, un po’ evidenti i passaggi di registro.
Ottimo soprattutto per meriti vocali il Marcello di Luca Salsi dalla voce profonda, piena e brunita. Beatriz Diaz è una spumeggiante Musetta, sicura e brillante anche dal punto di vista vocale e che incontra il pieno favore del pubblico. Non convince invece Arutjun Kotchinian nel ruolo di Colline per la voce sfuocata e l’assolo della vecchia zimarra non migliora il giudizio. Buona vocalità per José Fardilha, brillante Schaunard. Impacciato e incolore il Benoit di Mario Bertolino, fra i ruoli minori Angelo Nardinocchi è Alcindoro mentre Parpignol ha la voce di Angelo Casertano.
Daniel Oren dirige con le solite (fastidiose) intemperanze, ma la sua direzione non è prevaricante e, fedele alle dinamiche pucciniane, crea un'atmosfera naturale e vibrante dove s’insinuano bagliori scherzosi e tocchi di melanconia. L’orchestra del Carlo Felice risponde con un’esecuzione particolarmente precisa e ricca di sfumature in cui si stagliano i timbri dei singoli strumenti.
Complessivamente buone le prove del coro diretto da Ciro Visco e delle voci bianche preparate da Gino Tanasini.
Teatro esaurito, pubblico coinvolto e composito tra cui numerosi giovani e bambini.
Visto a Genova, teatro Carlo Felice, il 27 novembre 2008
Ilaria Bellini
Visto il
al
Carlo Felice
di Genova
(GE)