Nei giorni del carnevale la Fenice programma le molte recite di Bohème. Il nuovo allestimento di Francesco Micheli rimane nel solco della tradizione ma non è banale né scontato. Il regista punta sul rapporto di amicizia che lega i quattro ragazzi, ponendolo in primo piano rispetto all'amore tra Rodolfo e Mimì (che cantano il duetto nel finale del primo quadro separati, abbracciati solo nella conclusione). Non che l'amore non ci sia, si badi bene: la storia rispetta il libretto e sottolinea in modo chiaro ogni momento. Solo che il clima che si crea tra i ragazzi ha maggior presa, anche grazie a trovate registicamente convincenti e all'affiatamento degli interpreti: il legame bohèmienne tra i ragazzi, nella soffitta e nelle altre situazioni, rende bene il senso di amicizie sincere e generose. Struggente il finale: Mimì è sola nel lettuccio, Rodolfo la abbraccia; poi il velatino scende, escludendo Mimì e lasciando in fila, al di qua del sipario, Rodolfo inginocchiato e, dietro di lui in piedi, Marcello, Musetta, Colline e Schaunard, rimandando per atmosfera all'Angelus di Millet.
Il regista è abile a sfruttare al meglio anche gli elementi della scenografia (le finestrelle nei moduli-case del secondo quadro o, ancora nello stesso, la scala a chiocciola di ferro) e nel muovere i numerosi coristi e comparse in modo efficacissimo.
Lo spettacolo funziona ed emoziona, anche grazie all'apparato scenotecnico. Edoardo Sanchi ha pensato a un sipario che dà l'idea di un cannocchiale per concentrare lo sguardo dello spettatore nella soffitta del primo atto. Il velatino di lampadine (a diversa intensità luminosa a seconda dei momenti), con un effetto un poco insegna di Moulin rouge, riproduce i principali monumenti parigini in un contesto di linee vagamente liberty. Il centro del sipario, ovale, fa da cornice alla scena del primo quadro, rialzata rispetto al piano di calpestio del palcoscenico. La soffitta è arredata con mobili di varia provenienza, come se i ragazzi li avessero raccattati un po' qua e un po' là, ma con gusto estetico. Ecco allora la stufa di ghisa di forme asiatiche, la poltrona con le maschere africane, l'armadio e il tavolinetto di gusto etnico, il lettuccio di ferro dalle linee floreali, la scultura che pare di Medardo Rosso: tutto in linea con il gusto del momento. Sognante la grande luna che pende sui tetti di Parigi, proiettata sul velatino.
L'effetto del passaggio tra primo e secondo quadro, rappresentati di seguito, lascia stupefatto il pubblico; si solleva il velatino, si solleva il piano del palcoscenico: sopra parigini a passeggio e neve che cade copiosa, ombrelli aperti e impermeabili scuri; sotto parigini in metropolitana, in fila con le braccia alzate agli anelli di sostegno. Poi il metrò scompare e le case che bordano il palcoscenico, ruotando, rivelano cartelloni pubblicitari d'epoca e contornano lo spazio di Momus.
Il terzo atto ha al centro una casa-locanda girevole (con tocchi di turcherie nell'insegna e all'interno) che mostra esterno ed interno, oltre la barriera doganale e la casetta dei doganieri; un albero spoglio protende i rami verso il cielo buio e prende la neve ma, nel finale, si copre di fiori rossi che paiono sbocciare per miracolo, il miracolo dell'amore. Lo sfondo è una linea di condomini parigini tagliata a metà scena. Nel quarto lo spazio della soffitta è completamente diverso rispetto all'inizio, occupa tutto il palco ed ha lo sfondo e i lati bianchi, con lo spazio delle casette lasciato vuoto, solo il contorno segnato, per favorire un gioco di luci (Fabio Barettin) vario e suggestivo che alterna il bianco ghiaccio del sopra a colori primari del sotto: rosso, viola, blu, uno dopo l'altro, fino al nero.
Completano l'effetto della bella messa in scena i costumi di Silvia Aymonino, perfetti: semplici e credibili per i ragazzi e Mimì (particolarmente originali i maglioni di semplici linee geometriche e colori terragni), surreali, colorati e festosi per le ragazze da Momus, un mix tra circense, pierrot lunaire e le fatine di una favola (o, perchè no?, il carnevale nelle calli intorno al teatro). Non mancano guizzi di ingegno, come i cappelli delle avventrici di Momus che, quasi vassoi, hanno sopra torte pannose ed elaborati manicaretti, oppure l'interno delle gonne con il tricolore francese, ripreso da altri dettagli di abbigliamento nel finale del secondo quadro; o ancora le calze a rombi di ragazzini che spiccano sotto il nero delle mantelle.
Ottima la direzione orchestrale di Juraj Valčuha che rispetta i tempi e raccorda perfettamente orchestra, solisti, coro e voci bianche. La partitura è analizzata in ogni dettaglio, evidenziando le istanze ottocentesche alla luce della sensibilità già novecentesca che Puccini dimostra sempre. Il ritmo è impresso in modo costante, festoso ma capace di esaltare anche i momenti drammatici e intimi. Il suono sontuoso, curato in ogni sezione, trasmette al pubblico una emozionalità da cui non si sfugge.
Tutti giovani e non notissimi i protagonisti, stranieri per le due coppie protagoniste: il che ha garantito freschezza e novità (un plauso alla direzione artistica). Sébastien Guèze e Lilla Lee (Rodolfo e Mimì) cantano senza enfasi e senza retorica, esprimendo in modo convincente l'amore giovane; buona la presenza scenica, a lei i tratti orientali aumentano il senso di spaesamento, a lui la faccia da ragazzino consente uno slancio ulteriore (facilmente e volentieri si perdona loro una nota che sfugge o un colore che manca). Seung-Gi Jung e Ekaterina Sadovnikova (Marcello e Musetta) sono il giusto complemento ai primi due: Jung ha voce scura e vellutata per un Marcello sensibile, Sadovnikova rende una Musetta leggera ma non superficiale. Bravi lo Schaunard maturo di Armando Gabba e il Colline atletico di Luca Dall'Amico. Adeguati i ruoli di contorno: Matteo Ferrara (Benoît), Andrea Snarski (Alcindoro), Luca Favaron (Parpignol), Ciro Passilongo (un venditore ambulante), Salvatore Giacalone (un sergente dei doganieri) e Franco Zanette (un doganiere).
Notevole la prestazione vocale ed attoriale sia del coro preparato da Claudio Marino Moretti che dei Piccoli Cantori Veneziani preparati da Diana D'Alessio.
Teatro praticamente esaurito, con qualche maschera tra il pubblico come da tradizione. Vivo successo. All'inizio è stato letto il comunicato che porta a conoscenza il pubblico che i tagli che il Governo Berlusconi ha fatto al settore cultura porterà alla chiusura dei teatri in pochi mesi: il pubblico ha applaudito a lungo e con convinzione, testimoniando vicinanza alla Fenice.