Lirica
LA BOHèME

Il Sessantotto in soffitta

Il Sessantotto in soffitta

Risale al 2012 questo allestimento del Macerata Opera Festival che apre la stagione lirica del Teatro Valli di Reggio Emilia. Il regista Leo Muscato ha messo in scena una Bohème evocante gli anni della contestazione, un sessantotto bohemienne in cui i protagonisti sono artisti contemporanei e vivono in una soffitta fatta di scatoloni, letti a castello e oggetti sicuramente riciclati dalla spazzatura. Artisti che vivono nella miseria di una società estranea alla cultura e che li ripaga con lo sfratto finale. Una stanza disegnata da una grande tela di fondo che riproduce un muro scrostato di una soffitta desolata ma dove Rodolfo e amici vivono spensierati senza luce elettrica e riscaldamento, con un barile metallico utilizzato come stufa per spezzare il gelo della stanza. In quella soffitta arriva la malata Mimì, anche lei senza luce elettrica e che si ostina a fabbricare fiori finti in pieno sessantotto. Ma poi c’è la discoteca di Momus, dove tra il caos di una serata danzante compare Musetta col suo accompagnatore, un Alcindoro effeminato e pappone, ma compare anche uno stuolo di bambini, un venditore ambulante, una banda. Il terzo quadro si sposta alla barriera d’Enfer, o meglio alla fonderia d’Enfer, occupata dagli operai e presidiata dai doganieri in cui arrivano le pollivendole e le lattaie a portare il cibo agli occupanti e dove Marcello dipinge il murales della facciata mentre pernotta in una tenda canadese al di fuori della recinzione. E poi il finale, di nuovo nella soffitta senza più nulla poiché lo sfratto ormai è esecutivo; qui arriverà Mimì morente su un letto d’ospedale, anzi la soffitta si trasforma proprio in una camera d’ospedale, dove i medici tentano le cure per salvarla, ma invano e il letto con Mimì morta sparisce dietro le quinte tra la disperazione di Rodolfo e dei presenti. Una Boheme di sicuro impatto visivo, che però perde di poesia per immergerci nella cruda realtà del sessantotto, con le sue miserie, con le sue illusioni e con i suoi drammi. Di forte impatto sono le scene di Federica Parolini, come i coloratissimi costumi di Sylvia Aimonino.

Molto valida la direzione di Carlo Goldstein, che ha sostituito all’ultimo il maestro Bisanti, alla guida dell’Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano: appassionata e precisa, ha saputo equilibrare il denso lirismo dell’opera con le parti più briose, senza eccessi ma non tralasciando la naturale dinamicità della partitura e facendo risaltare le coloriture pucciniane.

Un cast molto giovane ha avuto un impatto visivo realistico, anche se il canto non entusiasmato. Una fresca Maria Teresa Leva ha rivestito i panni di Mimì, dalle ottime doti vocali, pur tra qualche incertezza ha saputo dar vita ad un personaggio credibile, la cui voce delicata ben si confà alla giovane fioraia. Il Rodolfo di Matteo Lippi supera sufficientemente la prova dopo un inizio incerto; la voce non è estesissima, ma gradevole e di bell’effetto, riesce a essere un personaggio disinvolto e nella parte anche se un po’ più di pathos non avrebbe stonato. Sufficiente anche la Musetta di Larissa Alice Wissel, la voce c’è ed è ampia e denota una buona tecnica e qualità vocale. Sergio Vitale è Marcello, dalla voce vigorosa, dal buon fraseggio, la giovane età lascia ben sperare. Il Colline interpretato da Sergio Vitale ha una bella voce da basso che ha il suo degno epilogo in Vecchia zimarra, giustamente applaudita a lungo. Valida anche l’interpretazione di Paolo Ingrasciotta in Schaunard. Con lui anche Paolo Maria Orecchia nel doppio ruolo di Benoit e Alcindoro. Buone le prove del Coro di Opera Lombardia diretto da Antonio Greco e il Coro di voci bianche dell’Istituto Monteverdi di Cremona preparato da Hector Raul Dominguez.

Visto il
al Fraschini di Pavia (PV)