«Io posseggo un istinto soltanto per le piccole cose, e non voglio occuparmi di nient'altro se non di esse», afferma perentoriamente Puccini. Ed in effetti, così come in ambito letterario Antonio Fogazzaro raffigura con una vena di sottile nostalgia il suo Piccolo mondo antico - romanzo apparso nel 1895, cioè giusto un anno prima de La bohéme - il maestro lucchese in questa sua straordinaria quarta opera s'immerge in un universo di personaggi ordinari, di minuti affetti, di fatterelli quotidiani: un mondo fatto di “piccole cose”, per l'appunto. Attorno a quattro giovani artisti squattrinati, paghi di dividere insieme un pezzo di pane e un'aringa, ad una gracile ricamatrice, ad una volubile cocotte, Puccini con l'aiuto dei suoi librettisti evoca un'abbondanza di elementi minimi eppure grandemente suggestivi, come il guizzo della fiamma di una 'pigra' stufa al centro d'una gelida soffitta, il chiacchiericcio della folla festosa dei boulevards, lo spuntare d'un venditore ambulante di giocattoli, il passaggio d'una fanfara, i brevi dialoghi di doganieri, spazzini e paesane in una livida alba invernale; ed infine, dona magica intensità ad un raggio di luce che illumina il viso di Mimì moribonda. Particolari studiati con maniacale attenzione, capaci di rendere a perfezione un carattere o un'atmosfera, e 'dipinti' da Puccini in partitura con geniali pennellate musicali.
E se siete tra quelli che a teatro amano vedere fedelmente applicate le didascalie di un libretto, senza tradire mai l'Autore, questo ben organizzato spettacolo del Verdi di Trieste firmato da Marco Gandini, non potrà che soddisfarvi appieno, perché il “piccolo mondo” di Puccini - e quello di Murger, prima ancora - c'è tutto, veramente tutto, esposto con dovizia di particolari ma senza cadere nella sterile calligrafia, all'interno d'uno spettacolo dal respiro potente e dal ritmo ideale grazie ad una regia esuberante e spedita, e che sa essere fedele compagna di viaggio della musica. Spettacolo peraltro già collaudato, in quanto prodotto qualche anno fa dal circuito toscano Lucca/Livorno/Pisa, e già allora accolto con favore: anche perché punta sulle fantasiose e puntuali scenografie di Italo Grassi (anche se fuori del “Cabaré” del Quartier Latino, al posto del Passaggio del Mar Rosso di Marcello non si sa perché c'è il famoso Der blaue reiter di Kandiskij) e perché si avvale di gradevoli costumi – accurati al limite del calligrafismo - disegnati da Anna Biagiotti.
Sul podio, il veneziano Renato Balsadonna, un artista che ha molta esperienza di scena: collaboratore storico di Antonio Pappano sin da quando questi dirigeva a Bruxelles, dal 2004 è il suo chorus master alla Royal Opera House di Londra. Accanto a questo, ha diretto molti concerti sinfonici e solo ultimamente qualche titolo operistico, stando però sempre all'estero. E' dunque questo il suo esordio in patria come direttore; debutto alquanto tardivo in verità, ma nondimeno interessante. Alle prese di questo acquarellato racconto pucciniano si mostra concertatore efficiente - seppure con qualche ridondanza di troppo e un rallentando che pareva un brusco arresto - e riesce ad esaltarne il poetico afflato ed avvalorarne ogni sua singola pagina. Calibrato negli slanci sentimentali, spigliato nei momenti di conversazione, moderato nel sottolineare i quadretti comico-brillanti, Balsadonna trova piena intesa con gli interpreti - salvo qualche eccesso di volume al primo quadro che mette in secondo piano i protagonisti - e ricava dalla buona orchestra del Verdi ricchezza di tinte e buona varietà espressiva.
Due le compagnie impegnate, prevalentemente di giovani; quella da noi incontrata vede in prima fila il soprano croato Lana Kos ed il tenore kosovaro-albanese Rame Lahaj, per la prima volta sul palcoscenico triestino. La Kos, chiamata a sostituire la prevista Alexia Voulgaridou, esibisce una vocalità ben costruita, che mette a frutto i suoi doni naturali; la sua prima scena soffre per una certa agrezza di voce, quella stessa che però serve a rendere bene i tormenti del suo personaggio nel terzo e quarto quadro. E se, a voler essere pignoli, talune occasionali forzature negli acuti chiedono che questi vengano meglio calibrati, la sua Mimì comunque supera l'esame del pubblico triestino, grazie alla capacità – specie nei due quadri conclusivi – di colorare e sfumare gli accenti, infondendovi quella vena di malinconica sentimentalità che deve caratterizzarla. Dal canto suo, Lahaj possiede indubbie ragguardevoli risorse tecniche, nonché grandi doti interpretative: timbro e potenza tenorili accattivanti, salda presenza scenica, una naturale eleganza di fraseggio imprimono forza e vigore giovanile a questo suo Rodolfo; però...però... certe occasionali inspiegabili scivolate d'intonazione sminuiscono di non poco una performance altrimenti encomiabile. Presi insieme, nei loro duetti, costruiscono un primo quadro non molto emozionante, nel quale la poesia pare latitare: ma poi alla Barriera d'Enfer e nel ritorno nella fredda soffitta sanno conseguire – grazie anche al sostegno di Balsadonna - una ben più ragguardevole intensità interpretativa.
Veramente squisito, e senza riserva alcuna, appare invece il Marcello che esce dalle mani del baritono Marcello Rosiello: garbato, elegante, pitturato – è il caso di dirlo – con freschezza e bella pienezza di voce e sapiente sollecitudine espressiva. Il soprano boemo Marie Fajtova ha donato brio e vivacità alla figura di Musetta, lietamente volubile e civettuola, e fin qui bene; ma la linea di canto appare in qualche momento sopra le righe, ed anche la dizione sarebbe da migliorare. Non sempre a fuoco, ed alquanto inamidato il Colline del basso serbo Ivan Šarić; assai godibile nell'insieme lo Schaunard raffigurato da Vincenzo Nizzardo; molto bravo si mostra Dario Giorgelè nel raffigurare Alcindoro e Benoît. Bene anche gli altri: Motoharu Takei (Parpignol), Hector Leka e Giuliano Pelizon (i due doganieri), Dax Velenich (il venditore ambulante). Positiva come al solito la prova del Coro del Verdi, e lodevole la presenza dei Piccoli Cantori della Città di Trieste, ben addestrati da Cristina Semeraro.
Caloroso successo di pubblico, in un teatro praticamente esaurito: il che, tenuto conto anche del fatto che l'ultima Bohème del Teatro Verdi risale a soli quattro anni fa, testimonia l'amore inesauribile del pubblico triestino per questo titolo. Ricordiamo che l'altro cast vede l'apporto di Hye-Youn Lee (Mimì), Ho-Yoon Chung (Rodolfo), Matias Tosi (Marcello).
(Foto Visual Art)