LA BOHèME

Jesi, teatro Pergolesi, “Bohè…

Jesi, teatro Pergolesi, “Bohè…
Jesi, teatro Pergolesi, “Bohème” di Giacomo Puccini PARIGI NEBBIOSA IN BIANCO E NERO MA SENZA FIOCCHI DI NEVE La stagione lirica di tradizione del quarantennale, dedicata a Luciano Pavarotti, si è aperta con Bohème, per poi proseguire con Werther (5/7/9/11 novembre) e Lucia di Lammermoor (29 e 30 novembre, 1 e 2 dicembre) e concludersi il 7 dicembre con un concerto lirico in onore di Beniamino Gigli, lasciando lo spazio a una stagione di prosa di indubbia, elevata qualità che ha l'acmè nell'attesissima Anna Karenina di Eimuntas Nekrošius. Ivan Stefanutti, regista, scenografo e costumista, sposta l'azione negli anni Trenta ma mantiene un approccio tradizionale, sia nella gestualità che nell'ambientazione, contenendo le movenze, sia per i protagonisti che per le masse e rispettando ogni singola didascalia. Viene annunciato come un “allestimento in bianco e nero” ma non pare si discosti molto dai soliti: Bohème è spesso cinerea e grigia nella messa in scena, anche se qui ci si spinge a dipingere di grigio anche le pagnotte di pane (che Marcello usa come seni, in una scena particolarmente divertente). E l'idea dell'epoca tra le due guerre non è di certo nuova (una per tutte quella di Jonathan Miller per il Maggio Musicale Fiorentino con scene di Dante Ferretti e costumi di Gabriella Pescucci, ripresa nell'ottobre scorso). La scena è piacevolmente realistica, la soffitta vetrata per il primo e il quarto quadro, uno slargo davanti al caffè Momus per il secondo, la barriera d'Enfer per il terzo (anziché il tradizionale cancello una sbarra che si alza e si abbassa; nebbia invece dei consueti fiocchi di neve), scenografia bella ma forse un poco troppo grande per gli spazi del Pergolesi. I costumi sono di una quotidiana semplicità e ben si adattano alla situazione, tranne Musetta che ha poco fascino e nessuna eleganza, con i tacchi bassi, la pettinatura dimessa, la camicetta e la gonnina sotto il ginocchio. Le luci di Sandro Dal Prà sottolineano con naturalismo il trascorrere delle ore e la rifrazione delle ombre sulle vetrate opache. Carlo Montanaro ha diretto la Filarmonica Marchigiana con un volume troppo alto, soprattutto nei primi due atti; in particolare nel primo le voci durante il duetto sono state spesso soverchiate dalla musica. Gli interventi del Coro Lirico Marchigiano, preparato da David Crescenzi, potevano essere maggiormente precisi; con loro il coro di voci bianche San Filippo Neri diretto da Ubaldo Composta. Il cast è composto di giovani cantanti non noti, scelti dopo numerose audizioni, credibili nei ruoli e vocalmente dignitosi. Decisione condivisibile ed encomiabile, a volte si sente la necessità di cercare e proporre nuovi talenti. Elena Monti è una Mimì disinvolta e con il grembiulino bianco, acerba nella voce che rivela un'oscillazione troppo ampia del vibrato. Giorgio Berrugi è un Rodolfo al debutto, provenendo dalle file dell'orchestra, dove suona il clarinetto. Manuela Cucuccio è una Musetta senza allure ma vocalmente nelle giuste corde. Gabriele Spina è un Marcello dalla voce di bel colore e di timbro affascinante, anche se dovrebbe curare maggiormente l'emissione, debole in alcuni momenti. Perfetti Francesco Verna (Schaunard) e Alessandro Spina (Colline). Con loro Massimiliano Luciani (Perpignol), Salvatore Salvaggio (Benoit), Bruno Pestarino (Alcindoro), Ferruccio Finetti (sergente dei doganieri) e Alessandro Lazzarini (doganiere). Teatro gremito, pubblico rumoroso e troppo plaudente nei momenti musicali. Visto a Jesi (AN), teatro Pergolesi, il 12 ottobre 2007 FRANCESCO RAPACCIONI
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