Cinquant'anni e non li dimostra. La messa in scena di Zeffirelli ha debuttato alla Scala nel febbraio 1963 e da allora è stata ripresa venti volte, senza tollerare alcuna intromissione e divenendo quindi “la” Bohème della Scala. Solo i costumi si sono aggiornati, nella presente edizione sono di Piero Tosi (ripresi da Alberto Spiazzi) e paiono fare tutt'uno con le scene, tanto sono precisi nelle annotazioni storiche e sociali. Lo spettacolo è molto tradizionale e, forse proprio per questo, ancora piace a tutti. Alcuni particolari sono così azzeccati da essere divenuti parte del nostro immaginario collettivo di Bohème: quel tipo di soffitta, quel tipo di caffè Momus, la neve alla barriera d'Enfer, la mano che scivola verso terra lasciando cadere il manicotto di pelliccia. Infatti le scene di Zeffirelli ricreano gli ambienti voluti dal libretto con un naturalismo che sconfina nel romantico-favolistico. La soffitta ha il tetto inclinato e un piccolo lucernario da cui entra un raggio di luna; uno scaffale a muro ospita busti o riproduzioni di famose sculture classiche; tendaggi improvvisati nascondono parzialmente i letti; la stufa troneggia. Un doppio piano per la scena open air parigina: sopra alti palazzoni e alberi spogli fanno da cornice a una piazzetta; sotto in proscenio una strada affollata dove Musetta arriva in carrozza trainata da un bianco cavallo; subito dietro l'interno di Momus, un interno-esterno di sicuro effetto scenico e funzionale per l'azione. La barriera d'Enfer è una cancellata in prospettiva con i massicci pilastri ingentiliti da sculture equestri; sul lato destro una locanda quasi al limitare del palco; dal lato opposto alberi innevati in leggero declivio che si perdono nel buio e una fontana in primo piano. Nel quarto quadro si ritorna nella soffitta, identica; nel finale Rodolfo chiude la tenda rattoppata che serra il finestrone volendo proteggere Mimì dai raggi del sole ma, inconsciamente, segnandone la morte. La regia non è particolarmente marcata o originale; Marco Gandini, nel riprenderla, è stato bravo a curare i movimenti delle masse e dei protagonisti, prevedibili ma funzionali al plot.
Daniele Rustioni, giovanissimo, si dimostra autorevole alla guida dell'orchestra e ha mano serena ed equilibrata. Il direttore esalta la romantica morbidezza della partitura senza eccedere nel sottolineare qualche passaggio corrusco che forse avrebbe stonato con l'allestimento, anche se il volume è parso a tratti eccessivo.
Rodolfo ha l'aspetto aristocratico e gli occhi di ghiaccio di Piotr Beczala, la cui voce, perfetta per il ruolo, in qualche momento ha faticato a superare l'orchestra; il tenore ha sicuri gli acuti ed espressive le mezze voci che fanno la differenza nella sua interpretazione cesellata e convincente.
Appropriati i comprimari: Fabio Capitanucci è un Marcello dalla voce bella e morbida, poco incline alle intemperanze della gelosia ma solido e affidabile; Marco Spotti presta la sua voce scurissima a Colline e la “zimarra” si tinge di affascinanti riverberi drammatici; Massimo Cavalletti canta bene come Schaunard.
L'attesa della serata era tutta per Anna Netrebko (nella foto). Il soprano conferma la sua recente prestazione al festival di Salisburgo, una straordinaria capacità di immedesimazione e di rendere il mutamento del personaggio atto dopo atto anche in una regia prevedibile: la fanciulla timida e riservata dell'inizio che l'amore rende più sicura al caffè; la donna distrutta nell'animo dall'abbandono dell'amato e fiaccata nel fisico dalla malattia che rende la voce un sussurro ma udibile e palpitante. La voce della russa è salda e corposa in tutti i registi e copre un'estensione notevole: sicura in alto, brunita e sfumata al centro, corposa nel grave. Un timbro vellutato che viene esaltato da una tecnica incredibile che supera ogni difficoltà ed emoziona in ogni passaggio. La linea vocale, morbida e fluente, omogenea e sontuosa, al punto che le sfumature preziose paiono nascere all'interno delle singole frasi, rese con emozionante intensità. Una voce grande capace di rendere le mezze voci in modo unico. Una voce udibile anche nei sussurri. Una voce che riesce a tornire i versi in modo impeccabile. Attorialmente sicura e spigliata, la Netrebko ha la capacità di catturare e irretire lo sguardo dello spettatore con un magnetismo indefinibile e quel mix irripetibile di voce e fisicità.
Deludente la Musetta di Ellie Dehn, non particolarmente incisiva in quanto la voce, ben proiettata in acuto, perde consistenza nel centro e nel grave e la prestazione attoriale non è abbastanza spigliata e disinvolta. Bravo Domenico Colaianni (Benoit). A completare il cast Matteo Peirone (Alcindoro), Cristiano Cremonini (Parpignol), Ernesto Panariello (Sergente dei doganieri), Roberto Lorenzi (Doganiere) e Marco Voleri (altro venditore ambulante).
Ottima la prova del coro della Scala e del coro di voci bianche dell'Accademia del teatro alla Scala, entrambi preparati da Bruno Casoni.
Teatro esaurito, anche per la presenza della star Anna Netrebko in coppia con Beczala come a Salisburgo (recensione presente nel sito: Beczala, indisposto, fu sostituito lussuosamente da Jonas Kaufmann). Pubblico tiepido durante la recita con molti applausi al termine di ogni quadro; nel finale un trionfo per Anna Netrebko, che ha regalato una serata da ricordare.
Visto a Milano, teatro alla Scala, il 22 ottobre 2012
FRANCESCO RAPACCIONI
Nella sostanza di condivide la recensione del direttore Rapaccioni. La Bohème di Zeffirelli l’abbiamo vista tutti, essendo uno dei classici più rappresentati sulle scene internazionali da decenni; nell’attuale produzione alla Scala il motivo d’interesse è costituito dal confronto fra primedonne assolute che si sfidano nelle diverse interpretazioni stilistiche e vocali del ruolo di Mimì. Angela Gheorghiu ha avuto l’onere e l’onore della prima (recita a cui abbiamo assistito il 26 settembre); dal punto di vista scenico la diva rumena offre un’interpretazione manierata e ormai datata di Mimì, troppe smancerie e leziosaggini (soprattutto nel primo e secondo atto) non fanno emergere lo spessore drammatico di un personaggio solo apparentemente naif, ma il canto è ben più moderno del gesto e non si può che lodare la voce intatta, perfettamente modulata, l’emissione impeccabile, la musicalità del fraseggio e l'aderenza alla scrittura pucciniana. Sarà questione di tecnica, ma la voce, ritenuta “piccola”, passa e la prima è salva.
Ilaria Bellini