Lirica
LA BOHEME

Mimì e i colori di Odilon Redon

Mimì e i colori di Odilon Redon

La sezione autunnale del Ravenna Festival si chiude con un omaggio al personaggio di Mimì, protagonista prima del racconto di Murger, poi del capolavoro di Giacomo Puccini. Cristina Mazzavillani Muti, ormai da qualche anno, si concentra nello sviluppo di nuove modalità registiche con l’uso di videoproiezioni, scene virtuali e giochi di luci. Così pure questa Bohème si ammanta di colori e immerge lo spettatore in un mondo onirico in cui i personaggi sono avvolti dalla loro stessa quotidianità proiettata, che ne fa un tutt’uno con la scena, sempre molto scarna. La Mazzavillani si ispira ai quadri del pittore simbolista Odilon Redon che incarna, attraverso i suoi colori, un mondo di sogni, di visioni paradossali e di inquietudine intimistica che domina la vita dei protagonisti. La regia è concentrata proprio nei personaggi, nel loro agire quotidiano: nei primi quadri i colori sono vivaci ed esprimono al meglio la sensazione di fremente gaiezza sprizzante nei protagonisti, sia nella buia soffitta in cui si intravedono poetiche nubi sia nel Cafè di Momus, nella baraonda parigina. Ma poi i colori si incupiscono e la Barriera d’Enfer è resa magnificamente con una videoproiezione che riprende una romantica nevicata, ma nel freddo della neve arriva una Mimì semisvestita: è la vita che se ne va e che la sta spogliando di sé stessa. Il quadro finale è cupo e nero, l’unico chiarore è dato dalla bianca e lucente sottoveste della giovane che viene adagiata sugli spogli tavoli della soffitta coperti di fiori e su questi muore quasi immolata nella sua purezza ritrovata in una sorte di riscatto finale e di visione escatologica delle sue sofferenze. Il cast tecnico è composto da Vincent Longuemare (light designer), David Loom (visual designer), Davide Broccoli (video programmer) e Alessandro Lai (costumi).

La direzione del maestro Nicola Paszkowski, alla guida dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, è stata all’insegna della corposità e della linearità tradizionale, ma tende a perdere di vista il palcoscenico, dove i cantanti, seppur bravi, non hanno una esperienza tale da poter agire in autonomia. Comunque è riuscito a rendere il pathos e il giusto colore nei momenti canonici e in quasi tutta l’opera.

Benedetta Torre ha incarnato una protagonista fragile ma volitiva per la voce intensa e nello stesso tempo giovane e delicata, emissione omogenea e acuti sicuri, oltre che presenza scenica. Alessandro Scotto di Luzio in Rodolfo possiede una voce non molto estesa ma ben curata ed elegante, con un buon timbro e una buona proiezione, seppure un po’ impacciato in scena. Damiana Mizzi delinea una Musetta estroversa e sensuale, dotata di voce piacevole e morbida. Ottima la prova di Matias Tosi in Marcello, dalla bella voce brunita in cui riesce a fare emergere i colori propri della parte. Molto bravi anche Daniel Giulianini in Schaunard e Luca Dall’Amico in Colline, di cui la sua interpretazione di Vecchia zimarra meritava un bis per l’intensità e la bellezza della voce. Ricordiamo anche il Benoît di Giorgio Trucco, l’Alcindoro di Graziano Dallavalle e Parpignol di Ivan Merlo, funzionali e puntuali. Molto valida la prova del Coro del Teatro Municipale di Piacenza diretto da Corrado Casati e quella del Coro di voci bianche Ludus Vocalis diretto da Elisabetta Agostini.

Visto il
al Alighieri di Ravenna (RA)