Lirica
LA BOHèME

Musetta in bicicletta

Musetta in bicicletta

Spicca negli spazi areniani il tavolato bianco latte della scenografia di William Orlandi, dove si disperdono gli attrezzi di scena realisticamente dettagliati, anch’essi bianchi. Spicca soprattutto la frattura tra l’atmosfera rarefatta d’amore del primo atto e la confusione, a tratti eccessiva, del secondo, eseguiti senza intervallo. Piace al pubblico la soluzione spettacolare che precede la pausa, quando il “camino” che troneggia a fondo scena che erutta minuscoli pezzi di carta ovviamente bianchi, rossi e blu. Come piacciono anche le venditrici che arrivano dalla campagna alla barriera d’Enfer con le biciclette. Bicicletta su cui Musetta scappa da Marcello in una bella immagine che rimanda ai film del neorealismo. William Orlandi ha ideato il grande spazio bianco di legno con l’elemento verticale sullo sfondo ed anche i costumi d’epoca, lineari e curati. Gli ingressi alla soffitta sono tramite una botola nel pavimenti, quasi infernale per la luce giallo intenso che proviene dal pertugio. Luce che nel finale colora la pedana di verde.

La regia di Arnaud Bernard è parsa più efficace nel tratteggiare il cameratismo dei quattro amici che non i momenti di effusione amorosa del primo atto. Molto teatrale il secondo atto, quando una folla riempie il palcoscenico, dove si mescolano artisti circensi sui trampoli e mangiafuoco. Alcuni fermo-scena pongono sotto la lente di ingrandimento i protagonisti. I palloncini di Parpignol volano in cielo, tutti insieme, legati uno all’altro. Musetta entra in scena dalla gradinata ed esegue il suo valzer sopra il lunghissimo bancone di Momus, diventato una passerella con Marcello agitato ad un capo. Nel terzo atto l’osteria è diventata un vagone in legno di tram. Nel finale Mimì muore stesa per terra, su materassi: una scelta azzeccata per un momento intenso, ben interpretato dai protagonisto.


John Neschling dirige l’orchestra dell’Arena con grande respiro, soprattutto nelle arcate dense, lunghe, sontuose, di ottocentesca opulenza; i tempi sono allargati a discapito della drammaticità di alcuni passaggi.
Marcelo Alvarez è un Rodolfo molto latino nel colore e nell’interpretazione, fraseggia con gusto e, a momenti, abbassa di tono la partitura, come nel finale del primo atto. Fiorenza Cedolins interpreta con tecnica e sentimento Mimì: la linea di canto è solida ma duttile; pur essendo all’aperto, risaltano la varietà di fraseggio e di accenti ed il verso scolpito nitidamente; ci hanno colpito soprattutto la luminosa dolcezza di alcuni passaggi e la morbidezza dei toni, che conferiscono grande spessore al personaggio. Luca Salsi canta benissimo: il suo Marcello ha voce piena e varietà di accenti, nonché fisico atletico (si rovescia sulla poltrona, salta sul pianoforte, insegue a piedi Musetta che sfreccia via in bicicletta). Non sfigura vicino a lui la Musetta di Serena Gamberoni, che pare Anna Glavari nel sontuoso vestito. Bene lo Schaunard di Vincenzo Taormina e il Colline di Deyan Vatchkov. Giovanile, rispetto al solito, il Benoit di Gianpiero Ruggeri; bravo Carlo Bosi (Parpignol). Meno incisivo l’Alcindoro di Angelo Nardinocchi. Completavano il cast il sergente di Victor Garcia Sierra e il doganiere di Manrico Signorini. Il Coro è stato ben preparato da Giovanni Andreoli ed il coro di voci bianche è diretto da Paolo Facincani.

Arena quasi esaurita per un allestimento che ancora cattura l’attenzione del pubblico, soprattutto in presenza di voci che gli spettatori ammirano; molti e calorosi gli applausi: un trionfo per la Cedolins.

Visto il
al Arena di Verona (VR)