Lirica
LA BOHèME

Parma, teatro Regio, “La Bohè…

Parma, teatro Regio, “La Bohè…
Parma, teatro Regio, “La Bohème” di Giacomo Puccini BOHÈME CREPUSCOLARE (e la danza dietro l'angolo) Le stagioni del Regio di Parma sono intelligenti e mai casuali: prima un “Così fan tutte” giovane e modernissimo che ha svelato i meccanismi, anche crudeli, dell'amore e della seduzione; ora questa Bohème tradizionale per il centenario pucciniano, che però mette in evidenza come l'amore e la giovinezza siano inesorabilmente destinati a passare. Per sempre. L'allestimento di Francesca Zambello, ripreso da Ugo Tessitore, ha vent'anni ed è stato sul palcoscenico ducale l'ultima volta quattro anni fa: ma a Parma le cose sono sempre fatte per bene e così si è messo mano alla scenografia (aggiungendo una parete vetrata che isola la soffitta dal circostante, lasciando però vedere sullo sfondo Parigi nel primo quadro e alberi spogli nell'ultimo, coi fondali volutamente diversi), alle luci (nuovo è il disegno di Franco Marri, ora sono radenti, più “intime”, e pongono l'attenzione sugli spigoli delle scene e sulle vibrazioni del canto), alla regia (calcando la mano sulla tempra giovanile dei protagonisti e muovendo alla perfezione le masse del secondo quadro). I primi due quadri sono finalmente attaccati e l'opera ne guadagna in tempo e soprattutto in senso, poiché si suppone che l'azione sia consequenziale (ciò è possibile grazie alle scene di Nica Magnani, creatrice anche dei perfetti costumi storici). Il tutto non esente da contraddizioni, come nel secondo atto, con quell'incongrua neve che cade sopra i tavolini all'aperto di Momus. Ma lo spettacolo scorre via veloce. Ed emerge prepotentemente il senso “autunnale” dell'opera, quel finale in cui è l'amore che muore, è la giovinezza che svanisce in un soffio. E l'uno e l'altra non tornano più. Una luce livida illumina gli alberi spogli oltre la vetrata, alberi che puntano i loro rami secchi verso un cielo sbiancato, come urla silenziose nella musica. Alberi che torneranno a fiorire, rendendo ancora più dolorosa la chiusura: per Mimì non c'è invece speranza. Come per l'amore perduto. Come per la giovinezza trascorsa (ode ai poeti crepuscolari, in quel giro di anni a cavallo di due secoli). E, mentre Mimì muore, Musetta, Marcello, Colline e Schaunard guardano in diverse direzioni dai quattro angoli della pedana rialzata. Colline, con un senco quasi religioso, spegne una candela con un soffio. L'eccellenza di questa ripresa è nella direzione orchestrale di Bruno Bartoletti, che pratica lo spartito da decenni ma lo affronta con una freschezza e una giovinezza inaspettate, plasmando in un unico suono buca e palco. Ed è certo una questione di “stile” morale e professionale, assecondato da un'orchestra in stato di grazia. Il suono è corposo, rotondo, fluido come acqua che riempie la platea in un susseguirsi di onde, arcate spesse che sembrano una sola, tanta è la compattezza. È interessante l'operazione di Bartoletti: nei primi tre quadri esalta l'impianto lirico della partitura, spingendo sul pedale del romanticismo, poi nel quarto si tuffa nel verismo e propone una situazione umana e sentimentale guardata con la lucidità e la scientificità di un'autopsia. Oggetto dell'indagine è l'amore (e la giovinezza), quell'amore che una volta perduto non torna più, come la giovinezza. E questo suona ancor più drammatico proprio per quel taglio naturalista che Bartoletti sceglie per il finale, esaltato dal precedente in cui la lettura era invece maggiormente sentimentale. Le pagine di Bohème sono stranote, eppure questo ascolto ha apportato nuove emozioni, e, quel che più conta, nuove idee. I protagonisti, tutti giovani, sono a loro agio. Su tutti spicca Svetla Vassileva: il ruolo è nelle sue corde sia vocali che attoriali, voce sicura con molte sfumature per rendere personaggio al meglio, una Mimì profondamente segnata da una solitudine senza uscita, una Mimì crepuscolare, “autunnale”, come gli alberi della scena. Stefano Secco è un Rodolfo dal timbro luminoso e dalla dizione perfetta, i centri sono potenti e pieni di colori, anche se nell'acuto ha rivelato qualche difficoltà. Valentina Farcas è una Musetta poco incisiva, Gabriele Viviani un Marcello adeguato ma di poco temperamento. Bravi Leonardo Lopez Linares e Carlo Cigni, rispettivamente Schaunard e Colline. Bene i comprimari, Matteo Peirone è sia Benoit che Alcindoro, entrambi meno caricaturali che d'abitudine; Vincenzo di Nocera è Parpignol, Matteo Mazzoli il Sergente dei doganieri e Marco Democratico un doganiere. Ottima la partecipazione del coro del teatro, preparato da Martino Faggiani, e del coro di voci bianche, diretto da Sebastiano Rolli. Teatro tutto esaurito, pubblico attento e preparato, pronto a cogliere ogni minima sbavatura, ma che ha applaudito con calore e convinzione, soprattutto il maestro Bartoletti e la Vassileva, ormai consacrata “beniamina” dai fedelissimi del Regio. Finite le recite di Bohème il 26 aprile, al Regio si apre un'attesa stagione di danza che occupa tutto il mese di maggio: dal prestigioso balletto Kirov del teatro Mariinskij di San Pietroburgo, impegnato nel classico dei classici russi (“Il lago dei cigni” nella versione Petipa-Ivanov) il 3 e 4 maggio per tre recite (poi con l'Orchestra del Regio il 9 e il 10 al Comunale di Modena), al gala di Svetlana Zacharova & friends il 9 e il 10, dall'attesissimo “Moon Water” del teatro di Taiwan (14/15/16/17 maggio) alla compagnia di Carolyn Carlson con “Eau” (22 e 23), per chiudere con il corpo di ballo del teatro alla Scala con l'omaggio a Petit il 29 e il 30 maggio. Visto a Parma, teatro Regio, il 20 aprile 2008 FRANCESCO RAPACCIONI
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al Regio di Parma (PR)