Lirica
LA BOHEME

Primo piano su Boheme

Primo piano su Boheme

La Bohème è uno dei titoli più amati dal pubblico genovese; quest’anno il capolavoro pucciniano è stato proposto come strenna natalizia nel fastoso allestimento di uno maestri del cinema italiano, Ettore Scola, che solo in poche occasioni ha firmato regie per il teatro lirico. La produzione, nuova per Genova ma che ha debuttato al Festival Puccininano nel 2014, è volutamente tradizionale e didascalica: non cerca stravolgimenti o nuove interpretazioni, quanto piuttosto si pone “umilmente”  al servizio della musica e della drammaturgia originaria.

I quadri della vita di Bohème scorrono al centro del palcoscenico collocati su di una pedana girevole che sostiene quattro scene a grandezza naturale corrispondenti ai quattro atti dell’opera: lo spaccato a vista della soffitta disposta su due piani, la facciata del café Momus, la Barrière d’Enfer. Questa struttura circolare, simbolica della struttura dell’opera che si apre e si chiude con la stessa scena, permette passaggi veloci da un atto all’altro e contribuisce alla continuità dell’azione scenica ben risolvendo la coesistenza di singoli e masse. Il regista e il suo abituale scenografo Luciano Ricceri hanno voluto una ricostruzione ambientale attenta ai minimi dettagli per restituire l’atmosfera della Parigi immaginata da Puccini ma senza cadere nel facile macchiettismo, accomunati dall’idea di rispettare fedelmente parole e didascalie del libretto di cui la scena dà un’illustrazione precisa nei minimi particolari. Si ravvisano riferimenti al contesto storico nelle architetture e negli arredi e non mancano citazioni figurative del tempo, come le affiches pubblicitarie alla Toulouse Lautrec che  tappezzano la soffitta. Ma gli spunti pittorici generano anche inutili tableaux vivants come quello che mette in scena nel secondo atto lo stesso Manet intendo a dipingere ai lati del palcoscenico il celebre  “Déjeuner sur l’herbe”.

La regia è particolarmente attenta a recitazione e gestualità sia nelle scene d’insieme che nella riuscita caratterizzazione psicologica dei vari personaggi. Ettore Scola regista cinematografico si rivela nel gusto delle inquadrature da primo piano: i protagonisti sulla scena rivolti direttamente al pubblico per coinvolgerlo, la gelida manina tenuta fra le mani, il bacio fra Mimì e Rodolfo che suggella la fine del primo atto e il letto di morte illuminato da una luce bianca e fredda nella scena buia alla fine. Un team collaudato di regia, scene, luci e costumi garantisce un perfetto impatto visivo:  le luci (Valerio Alfieri) risultano sempre funzionali a musica e situazione e i curatissimi costumi (Cristina Da Rold) contribuiscono alla perfetta resa ambientale come se fosse un film in costume.

La produzione si è avvalsa di un cast omogeneo e affiatato. La Mimì di Fiorenza Cedolins è di segno forte e il personaggio della fioraia svela un coté intenso e deciso: la cantante sembra essere più a suo agio nella parte drammatica che in quella elegiaca e non a caso il terzo atto è quello più convincente; la voce non sempre è morbida nei passaggi e gli acuti sono talvolta asprigni. In gran forma Désirée Rancatore, Musetta di lusso per disinvoltura scenica e virtuosismo vocale, e ne esce un personaggio a tutto tondo, sfaccettato e complesso che ben rappresenta l’eterno femminino: il merito va anche al canto variegato, giocato sull’accento oltre che sulla coloratura. Ci piace il Rodolfo di Leonardo Caimi perché giovane e comunicativo ma anche per la voce squillante dalla dizione curata. Il Marcello di Elia Fabbian ha bella voce baritonale ricca di colori come la sua tavolozza. Federigo Longhi è stato uno Schaunard coinvolgente che ha ottenuto particolare consenso da parte del pubblico. Corretto il Colline di Gabriele Sagona. Positiva la prova di Matteo Peirone nei panni di Alcindoro e  Benoit. Concludono adeguatamente il cast Alberto Angeleri (Parpignol), Roberto Conti (Sergente), Filippo Balestra (Doganiere), Pasquale Graziano (Un venditore).

Punto debole dell’allestimento la direzione di Giuseppe Acquaviva che non ha saputo infondere giusta coesione alla narrazione musicale e si sono avvertiti squilibri e imprecisioni soprattutto nei momenti di insieme dove la buca tendeva a sovrastare il palcoscenico. Meglio riuscita la concertazione nei momenti più intimisti dove il direttore è riuscito a sostenere e assecondare i singoli cantanti.
Complessivamente buone le prove del coro diretto da Pablo Assante e delle voci bianche preparate da Gino Tanasini.

Teatro pieno, pubblico partecipe e caloroso ha confermato pieno successo a una produzione di qualità.

Visto il
al Carlo Felice di Genova (GE)