Lirica
LA BOHèME

Ravenna, teatro Alighieri, “L…

Ravenna, teatro Alighieri, “L…
Ravenna, teatro Alighieri, “La Bohème” di Giacomo Puccini BOHÈME TRA LE NUVOLE Mettere in scena una delle opere più rappresentate e amate dal pubblico internazionale è sempre una sfida. Il pubblico si aspetta sempre da quest’opera, oltre a belle voci, un allestimento tradizionalmente e visivamente filologico e romantico, oppure innovativo per non cadere nella banalità e nel già troppo visto. La regia di Aldo Tarabella con le scene e costumi di Luca Antonucci hanno tentato di realizzare il binomio tradizione – novità. Bohéme rappresenta, con una freschezza ed una giovinezza sempre attuali, i sentimenti e la libertà irresponsabile della nostra verde età: amore, amicizia, leggerezza d’animo, goliardia, povertà. In questa ottica Tarabella contestualizza l’opera nella Parigi del secondo dopoguerra, quando nel quartiere Saint-Germain rinasce una nuova vita bohèmienne, in cui le soffitte e i tetti riprendono a pulsare, riportando lassù, nei cieli bigi da cui guardo fumar dai mille comignoli Parigi, intellettuali, artisti, pittori, poeti e scrittori, tutti coinvolti da un desiderio frenetico di vivere, trascorrendo le proprie giornate tra le soffitte e i café del lungosenna. Il primo quadro si apre sulle soffitte e sui tetti di Parigi, con i suoi anfratti ed i suoi abbaini, cosicché tutto diventa scenografia. Viene sottolineato lo spirito di grande precarietà degli ultimi bohémiennes che vivono tra le nuvole, sui tetti, tra i quali condividono la loro grama vita di artisti, ma sempre pronti all’amicizia e all’amore: qui nasce quello tra Rodolfo e Mimì, dove la luna è veramente vicina e la cameretta della giovane fioraia guarda proprio il cielo; la povertà unisce in un legame inscindibile i protagonisti e, come due gatti, tra i tetti vivono il loro amore. Nel secondo quadro il Cafè Momus è rappresentato in modo strabiliante, il pubblico è talmente coinvolto che ci sembra di essere avventori noi stessi del locale; un vero e proprio café del lungosenna, rappresentato con grande realismo e dovizia di particolari, ma anche con tutta la voglia di spensieratezza che caratterizzò il periodo postbellico. Il Café Momus diventa il luogo per eccellenza dove incontrarsi, dove conoscersi, dove spendere in allegria quei pochi franche che si hanno in tasca, oppure, come fanno i nostri, trovare l’Alcindoro di turno. C’è musica dentro e fuori il locale, si urla, c’è mercato, c’è chi serve al banco e chi suona; non c’è ombra di miseria, piuttosto ci si unisce per contrastarla: ci si dimentica del magro passato, della mancanza di denaro e ci si spinge verso il futuro: è una nuova generazione che avanza! Ma questi giovani artisti trovano presto gli ostacoli della vita ed è rappresentata dalla Barrièra d’Enfer, il passaggio dalla città alla campagna, l’illusione che Parigi offra ogni possibile risoluzione e ogni felicità. Mimì vi arriva, per il regista, dopo un peregrinare tra le vie nebbiose della città assonnata. La capitale francese viene vita come il viaggio introspettivo nel suo animo, in un passaggio tormentato tra amore e amicizia. L’effetto di questo terzo quadro è una visione onirica, come se Mimì fosse immersa e attraversata da un sogno in cui appaiono i suoi legami con Marcello, poi con Rodolfo, con l’amica Musetta, voci e ombre lontane del quartiere, un percorso attraverso il quale ritrova l’amore di Rodolfo e con lui si tuffa verso la speranza della vita in quella notte di nebbia. Nell’ultimo quadro ritroviamo Rodolfo, Marcello, Colline e Schaunard nella bella scena iniziale sui tetti di Parigi. Tarabella li immagina di nuovo pronti inesorabilmente per l’ennesimo trasloco, non avendo pagato la pigione. Mimì, ormai morente, torna da loro sui tetti verso l’aria, ricercando la passata allegria, la passata spensieratezza e la goliardia dei suoi amici. La morte li sorprende tutti, non conoscono questa triste realtà. I ragazzi con Musetta si stringono intorno a Mimì e al loro sogno svanito di una vita felice e senza dolori. Dunque interessante la regia di Aldo Tarabella, ambientata nell'originale scenografia di Luca Antonucci. Nel cast discreto spiccavano la Mimì di Maria Luigia Borsi (partita in sordina, ma che ha saputo poi dare al personaggio tutta la drammaticità e la passionalità sua propria), il Marcello di Mario Cassi, bella voce e ottimo attore come il Colline di Paolo Pecchioli dalla calda e avvolgente voce (l’aria Vecchia zimarra ha saputo commuovere e incantare). Bene anche la Musetta di Rosanna Savoia, lo Schaunard di Alessandro Battiato. Solo discreto Salvatore Cordella, Rodolfo senz’altro non molto in forma. Il maestro Marzio Conti è stato apertamente contestata da una parte del pubblico, alla guida dell’Orchestra e Coro per la Lirica Toscana ma a noi non è parso tale. Sempre bravi i fanciulli del Coro di voci bianche della Cappella di S. Cecilia di Lucca. Teatro esaurito, pubblico attento ma freddino per una bella Bohéme di buon livello. Vista a Ravenna, teatro Alighieri, il 23 febbraio 2008 MIRKO BERTOLINI
Visto il
al Alighieri di Ravenna (RA)