Lirica
LA BOHéME

Ritorna in scena La bohéme di Michieli

Ritorna in scena La bohéme di Michieli

Nel 2011, sulle scene de La Fenice Francesco Michieli affrontava per la prima volta quell'opera assolutamente perfetta – perfetta come poche, per contarle credo bastino dieci dita – che è La bohéme di Puccini; e questo suo approccio incontrò consensi pressoché unanimi, in quanto la sua garbata regia, attraversata da sapienti tocchi di pennello, possedeva un'impronta amabilmente naturalistica; ed otteneva il risultato di sostenere a dovere, in ogni momento, il dispiegarsi della musica pucciniana e le avventure dei giovani bohémiens parigini. Regia che per di più era egregiamente accompagnata dalle belle scene di Edoardo Sanchi e dagli insoliti - ma nondimeno gustosi - costumi di Silvia Ajmonino.

E' uno spettacolo che ci parla di un passato rivissuto con nostalgia, ma non conservato sotto una campana di vetro; e che prende avvio dalla solita soffitta ingombra di tele e di modesta mobilia, incorniciata però da un grande e luminoso ovale composto da mille piccole luci della Ville Lumière: ecco qui il Moulin Rouge, di là l'Arc du Triomphe, la Tour Eiffel, il tondo rosone di Nôtre Dame. Al secondo quadro, il piano di scena si solleva sorprendendoci con l'interno d'una affollata carrozza del Metrò, che presto scompare per lasciar spazio all'agitata folla parigina dei boulevards; dietro d'essa, l'apparizione di grandi case tridimensionali interamente ricoperte da colorate affiches d'epoca. Un quadro vivace ed animatissimo – è la Parigi alla vigilia di Natale - la cui gaia spensieratezza non guasterebbe in un'operetta di Offenbach o Lecocq, anche per il vivace dispiegamento di tricolori francesi non solo nelle bandiere della fanfara, ma anche nelle roteanti sottovesti delle belle 'danseuses' delle Folies Bergéres. Neve, gelo e melanconica tristezza attendono invece lo spettatore alla Barriera d'Enfer, dove sullo sfondo di grigi e muti palazzi una grande dimora, stranamente arredata, ruotando diviene il cabaret dove Marcello e Musetta lavorano, e dove Rodolfo ha trovato rifugio. Al quarto quadro ritorno alla solita soffitta, che però finisce per sembrare ancor più grande, più fredda, più desolata perché ora non ci sono più le mille luci della città a riscaldarla.  Uno spettacolo sempre godibilissimo, più volte ripreso negli anni seguenti ed ora messo in cartellone per una decina di recite concomitanti con il Carnevale 2017.

Curiosamente, nell'edizione 2012 di questa Bohéme debuttava nella sala veneziana una giovanissima Francesca Dotto: prendeva così quota, con la sua maliziosa Musetta, una positiva carriera sopranile che l'ha vista interpretare da allora sopra tutto una buona quantità di Violette verdiane in giro per il mondo - anche alla Fenice, naturalmente – mentre ora trova occasione d'approdare finalmente al ruolo ben più saliente della Mimì pucciniana. Esordio con una piccola riserva, in verità, perché il timbro ed il colore sono seducenti, l'emissione e la linea vocale accuratamente sorvegliate, l'indole sempre musicalissima. Belle doti che messe insieme permettono una bella varietà d'accenti e quindi un personaggio a tutto tondo; ma quanto a volume, la voce in questa occasione non pare spicchi come dovrebbe sull'orchestra. E' un inconveniente che invece non pare toccare Matteo Lippi ed il suo Rodolfo: ora traboccante di vitalità, ora teneramente affettuoso, ma comunque sempre venato da delicate screziature di malinconia. Un Rodolfo appassionato, naturalmente espressivo nel fraseggio – sotto però si avverte l'impegno nel metodo, anche nell'involo agli acuti - e dal timbro lucente ed arrotondato, come d'acciaio sotto un velluto. Anche il Marcello di Mattia Olivieri riesce personaggio seducente: in lui troviamo difatti sicurezza tecnica, pienezza vocale, fraseggio adeguato, colore baritonale accattivante, recitazione spontanea. Nelle mani di Laura Giordano Musetta diviene una bella figuretta a tutto tondo, piccante e caparbia ma priva di smancerie; William Corrò è uno Schaunard adeguato, Luca Dall'Amico un Colline ben tratteggiato. Corte di comprimari pronta a completare degnamente un cast affiatatissimo, e composta da Matteo Ferrara (Benoît), Andrea Snarski (Alcindoro), Bo Schunnesson (Parpignol), Dionigi D'Ostuni (il venditore ambulante), Emiliano Esposito (sergente), Umberto Imbrenda (doganiere).

Stefano Ranzani conquista i nostri elogi con una direzione dal felice impulso narrativo, dove si alternano indovinati indugi ritmici, languide morbidezze, delicati intimismi; e di contro passionali accelerazioni, che assai giovano all'andamento vorticoso del quadro del Café Momus. Sono scelte di volta in volta coerenti alla sua visione generale, che pare quella di farsi paladino d'una vivida teatralità: Ed il suono preciso e corposo degli strumentisti della Fenice, sotto la sua bacchetta, lo aiuta a dare piena visibilità alle preziosità timbriche e coloristiche sparse a piene mani da Puccini, offrendo così ai cantanti non solo un saldo sostegno, ma pure un manto sonoro lussureggiante. Basti sentire come sottolinea con le varie sezioni d'archi le voci – quelle delle contadine, dei doganieri, degli spazzini - che attraversano la nebbia della Barriera d'Enfer. Sono queste le cose che formano una direzione musicalmente esemplare, e drammaturgicamente persuasiva.

Irreprensibile come al solito la prova del Coro diretto da Claudio Marino Moretti, ed ottima prova dei Piccoli Cantori Veneziani preparati da Diana D'Alessio. Il secondo cast vede al lavoro Gioia Crepaldi, Ivan Ayon Rivas, Rosanna Lo Greco, Julian Kim, Francesco Salvadori, Francesco Milanese.

(Foto di Michele Crosera)

Visto il 16-02-2017
al La Fenice di Venezia (VE)