«Opera d’arte nuova ed ardita, e perciò discussa ed anche poco compresa, s’intende dagli intelligenti, che non possono mai essere veramente spassionati, mentre il pubblico si diletta e si commuove!». Con queste parole acute e schiette, contenute in una lettera al librettista Luigi Illica, Giulio Ricordi fotografava lucidamente il segreto dello straordinario successo di “Bohème”: vale a dire il dualismo – vitale e non conflittuale – della partitura, caratterizzata da una tecnica musicale innovativa e sofisticatissima e, allo stesso tempo, da una capacità comunicativa immediata e irresistibile. In virtù di questa peculiare miscela, il capolavoro pucciniano, che si imprime nella memoria sin dal primo incontro, rivela dettagli preziosi a ogni nuovo ascolto: ora la metamorfosi inattesa di una cellula tematica, ora la raffinata sottolineatura di un gesto o di un’emozione, ora il perfetto incastro dei diversi piani narrativi combinati in simultaneità.
Da questo punto di vista, un allestimento come quello attuale del Teatro di San Carlo rappresenta un’ottima occasione, in quanto restituisce l’opera celeberrima con grande rispetto e, insieme, con intelligenza e profondità. Merito anzitutto dell’accurata regia di Lorenzo Amato, che tratta con vivacità e ironia i pannelli briosi della vita scanzonata e accompagna con discrezione e senza indulgere al sentimentalismo i momenti di più intensa espressione fino al tragico epilogo. Questa sobrietà – meditata, consapevole, nient’affatto rinunciataria – si sposa bene con le scene e i costumi di Alfredo Troisi, che sceglie soluzioni tradizionali ma non banali: bella la soffitta trasparente, che isola simbolicamente la dimensione esistenziale dei protagonisti; bella l’ambientazione del secondo quadro, arricchita dai praticabili, che si materializza con un suggestivo cambio a vista; bello anche l’uso delle videoproiezioni, che si limitano ad animare suggestivamente i fondali senza effettismi gratuiti.
Al buon esito della messinscena contribuiscono in misura determinante gli interpreti vocali. María José Siri, che veste i panni di Mimì, ha voce piena ed espressiva e buona presenza scenica. Il Rodolfo di Tomislav Muzek (secondo cast) è gradevole nel timbro, anche se un po’ carente nel volume. Bravissimi – e giustamente applauditi – Luca Salsi (Marcello), dal canto generoso e potente, ed Eleonora Buratto (Musetta), agile, brillante, seducente. Buona anche la prestazione di Giulio Mastrototaro (Schaunard) e di Giovanni Battista Parodi (Colline).
Sul podio Andrea Battistoni, venticinque anni di energia e di rigore. La sua lettura di “Bohème” è precisa, quasi tagliente, esente da sbavature. Il giovanissimo direttore governa senza tentennamenti la complessa partitura pucciniana e mostra una perfetta intesa con i cantanti, che asseconda sapientemente senza mai perdere di vista la coesione dell’insieme. Coro e orchestra in gran forma.
Lirica
LA BOHèME
SOBRIA TRADIZIONE PUCCINIANA
Visto il
al
San Carlo
di Napoli
(NA)