Lirica
LA BOHèME

Storica Bohème

Storica Bohème

Uno spettacolo ormai storico quello che Zeffirelli ideò per il Teatro alla Scala nel lontano 1963, uno spettacolo che, a distanza di anni, non mostra cedimenti (tanto da essere stato ripreso ben ventuno volte) e che mette in evidenza come alcuni grandi allestimenti siano di fatto immortali, così da entrare nell'immaginario collettivo di tutti noi. La mise en scène si pone nel solco della più rigida tradizione, ma la cura dei particolari, che, a tratti, evidenzia una poeticità non irrilevante, rende ogni scena estremamente naturale, così che il pubblico si trova quasi coinvolto nell'azione.

Il primo e il quarto quadro sono ambientati in una soffitta dal tetto inclinato con un lucernario dal cui vetro frantumato trova sfogo il tubo della stufa; la porta di ingresso è di legno e malferma, gli arredi poveri ed essenziali, in un angolo si apre una specie di ripostiglio ricavato coprendo con dei teli appesi a un filo una piccola scafa del muro. Affollatissima è, invece, la scena del secondo quadro che vede coro e comparse divisi su due distinti piani: in alto un tipico boulevard parigino contornato da platani stecchiti e case con gli abbaini, nella parte inferiore è allocato, invece, il caffè Momus con tutti i suoi avventori. Suggestivamente avvolta nella nebbia, grazie all'utilizzo di una serie di velatini di diversa consistenza, è la barrière d'Enfer: sulla destra si trovano la grossa cancellata d'ingresso e la piccola osteria, il resto dello spazio è brullo, ghiacciato, dominato da grandi alberi innevati e da una piccola panchina.
Tutte le ambientazioni hanno come corollario non da poco i bellissimi costumi, curati nel dettaglio da Pietro Tosi.

Maria Agresta non interpreta Mimì, è Mimì in tutto, dalle movenze discrete e ma jeleganti, al fraseggio raffinatissimo, fino alle mezze voci eseguite in modo a dir poco magistrale; una interpretazione di grande compostezza, ma al contempo di straordinaria incisività, davvero indimenticabile. A tratti leggermente eccessivo, invece, il Rodolfo di Vittorio Grigolo, pieno certo di baldanza giovanile, ma con qualche tratto di troppo; la voce squilla potente, il timbro è veramente bello e ricco di armonici, l'emissione solida e sicura, sebbene talvolta mitigabile nello slancio. Molto buono sotto ogni punto di vista anche il trio dei giovani della soffitta: voce morbida e scura per il Marcello di Massimo Cavalletti; spiccatissime capacità attoriali nel dipingere uno Schaunard sensibile, che nel quarto atto non regge a vedere la sofferenza di Mimì, per un Mattia Olivieri, dotato di grande naturalità di emissione; registro grave di spessore per il Colline di Carlo Colombara, che ha magistralmente risolto l'aria della "Vecchia zimarra" infondendovi una vibrante forza poetica senza sentimentalismi strappalacrime. Dizione leggermente perfettibile, ma grande spigliatezza attoriale e acuti sicuri per l'allegra Musetta di Angel Blue. Buoni anche tutti i comprimari, a partire dal Benoit di Davide Pellissero, passando per il Parpignol di Cristo Vassilaco, il Sergente di Alejandro Gil, il Doganiere di Gustavo Castillo e, infine, il Venditore ambulante di Andrés Sulbaràn.
Ottime per precisione ed amalgama le prove della Coral Simòn Bolivar De Venezuela, preparata da Lourdes Sànchez, e delle Voci Bianche dell’Accademia del Teatro alla Scala, preparate, invece, da Bruno Casoni.

Gustavo Dudamel dirige l'Orquesta Sinfònica Simòn Bolivar ricercando sonorità piuttosto corpose che forniscono comunque particolare vivacità alle scene spensierate d'insieme; particolarmente vibrante risulta al contempo la seconda parte del quarto quadro in cui la ricerca di un lirismo composto, ma al contempo intenso, riesce ad emozionare davvero.

Pubblico scaligero davvero entusiasta; applausi e standing ovation finale per tutti gli artisti coinvolti.

Visto il
al Teatro Alla Scala di Milano (MI)