Un colpo d'ala impetuoso per La bohème

Un colpo d'ala impetuoso per La bohème

Se per caso avete visto La bohème trasmessa da RAI5 qualche giorno fa, dimenticatela. La regia televisiva mortifica in maniera deplorevole lo spettacolo di Graham Vick, che in teatro appare tutt'altra cosa: un capolavoro registico col quale, d'ora in poi, fare i conti. Per una volta su questo – come sull'ammirevole direzione musicale di Michele Mariotti - pare che tutta la critica sia concorde.

Una Bohéme dei giorni nostri, ma non banale

Nessuna romantica soffitta, nella scenografia e nei costumi di Richard Hudson, e nelle scelte registiche di Vick. Rodolfo ed i suoi amici occupano un tipico appartamento da studenti, arredato alla meno peggio da un padrone esoso. Sono giovani in felpa e jeans slabbrati, un po' esaltati nei modi ma afflitti da un vuoto interiore.
Ragazzi d'oggi, immaturi e superficiali; incapaci di passioni profonde e di affrontare la realtà. E' per questo che alla fine Rodolfo si ritrae terrorizzato dal corpo inerte di Mimì, scappando via; è per questo che anche gli altri l'abbandonano sola nella vuota stanza; è per questo che Musetta, prima d'andarsene, intasca i soldi della zimarra di Colline.

Epilogo lacerante, lontano da quella pensato da Puccini, certo. Ma certo più coinvolgente e pregnante di tanti altri visti in passato. Ma su tutta la gestione scenica di Vick sovrintende, da capo a fine, una logica drammaturgica ferrea ed eloquente, piena di simboli del nostro tempo e intrisa di accorte annotazioni recitative, frutto di un millimetrico lavoro sui due cast.
Ma se la scena del Café Momus – potremmo essere in una Chamonix natalizia - appare un trionfo di colori e di vitalità, assai meno convince la Barriera d'Enfer, vista come un'odierna periferia sudicia e degradata, e frequentata da gente equivoca: qui l'azione parte con un pugno allo stomaco - una fellatio fatta da un tossico, il compenso serve ad acquistare ed iniettarsi la droga – e qui troppe cose stridono con il libretto.

Prende il volo una direzione esemplare

Affrontando il suo primo Puccini – a parte uno Schicchi degli esordi – Michele Mariotti conferma la grande maturità interpretativa raggiunta, rileggendo e riscoprendo per noi una Bohème che così lirica, così istintiva, così raffinata e profonda non si sentiva dai tempi di Karajan e Kleiber.
Una Bohéme dal sapiente ritmo narrativo, perfettamente strutturata nelle dinamiche e nei tempi, sempre interessata al dettagli strumentali – risolti da un'Orchestra del Comunale in stato di grazia - e risoluta a trasmettere alla sala calde emozioni. I cantanti, poi, sono incitati ad esprimersi in un linguaggio comune, e guidati per mano ad un canto di conversazione variato e spontaneo. Cose rare a sentirsi, in verità.

Voci fresche e ricche di talento

Delle due compagnie, entrambe formate da giovani voci abbiamo incontrato quella in cui spiccano l'impetuosa ed ardente vocalità tenorile di Matteo Lippi, il caldo e simpatico Marcello di Sergio Vitale, la vitalissima e provocante Musetta di Ruth Iniesta. La Mimì di Alessandra Marianelli difetta di spessore ed espansività affettuosa nel primo quadro, ma nel proseguo si rinfranca e conquista esiti commendevoli.
Comprimariato impeccabile: Andrea Vincenzo Bonsignore (Schaunard), Evgeny Stavinsky (Colline), Bruno Lazzaretti (calibratissimo nei panni di Benoît e Alcindoro), Guang Hu (Parpignol). Coro e Voci bianche del TCBO degne di grandi encomi.