Non imbocca nuovi percorsi, né azzarda voli pindarici La bohème messa in scena al Teatro Verdi di Trieste dal regista Carlo Antonio De Lucia. Per molti tratti, a ben vedere, ricorda da vicino lo storico, primo allestimento di Adolfo Hohestein del 1896, da poco riproposto nella sua culla, il Regio di Torino.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Vi troviamo tutto quello che deve esserci: la gelida soffitta spalancata sui tetti di Parigi, l'affollato crocevia del Quartier Latino, la neve che scende sulla caliginosa Barriera d'Enfer, con la sua bella garitta al centro. Sola aggiunta di rilievo, due grandi edicole ai lati, ricolme di affiches. Soluzioni scenografiche ipertradizionali, montate a quattro mani con Alessandra Polimeno.
Pure i costumi di Giulia Rivetti sono all'insegna della più sobria ortodossia, tutti squisitamente fin de siécle. Salvo la sfavillante mise con cui appare Musetta – in seguito più appropriatamente abbigliata – che curiosamente anticipa la Liza Minelli del film Cabaret.
Uno spettacolo atteso da due anni
Insomma, presa nell'insieme questa Bohème da clima prenatalizio – recupero d'una produzione prevista nel 2020, saltata per le restrizioni Covid 19 - è quanto di più rassicurante un pacifico spettatore possa augurarsi. Ben organizzato nelle scene d'insieme, lo spettacolo infatti funziona come un orologio svizzero, espone bene i fatti, mostra quello che c'è da mostrare, e non riserva sgradite sorprese. Però non resterà scolpito nel nostro ricordo.
Quella che delude di più, purtroppo, è la concertazione/direzione di Christopher Franklin, che avvertiamo un po' superficiale, asciutta nelle scene di conversazione, povera d'arguzia nell'affrontare i momenti brillanti e comici, talora persino scollegata con quanto succede in palcoscenico. Una conduzione senza slancio e senza fantasia, portata avanti sbrigativamente, come nell'assolvimento d'un obbligo imposto.
Rodolfo, Mimì, Marcello, Musetta...
Delude un poco anche il Rodolfo di Alessandro Scotto di Luzio: concediamo le attenuanti d'uno stato di salute non ottimale – alla prima è stato infatti sostituto da Azer Dada – rivelato anche da qualche colpo di tosse. Ma a fronte di risorse vocali naturali ampie e generose, è il personaggio che stenta a stare in piedi: tutto proiettato vocalmente in avanti, tutto lanciato, finisce per risultare enfatico; oltre che povero di sfumature, superficiale nell'espressione, monotono nel fraseggio.
Per contrasto, spicca per incisività la Mimì di Lavinia Bini, forte d'una emissione sapiente e dosata, e baciata da un timbro di naturale bellezza. Schietto soprano lirico, l'artista empolese trova poi, nel fraseggio e nella recitazione, i giusti accenti, i giusti colori, la giusta psicologia; costruendo così un personaggio eloquente, fragile e melanconico senza mai apparire querulo, del tutto compiuto e rifinito.
Un Marcello accattivante e simpatico, validamente recitato, ma sopra tutto risolto nel canto e con il canto, è quello che porta in scena il bravo Leon Kim; Federica Vitali è una deliziosa, esuberante, musicalissima Musetta; Fabrizio Beggi rende in scena un solido Colline; Clemente Antonio Daliotti ci consegna un esuberante Schaunard.
Un valido comprimariato
Per finire, Alessandro Busi infonde la giusta comicità a Benoît ed Alcindoro, scansando l'eccesso di lazzi; Andrea Schifaudo è un buon Parpignol; Damiano Locatelli è il sergente, Giovanni Palumbo il doganiere.
Il Coro del Verdi, sotto la guida di Paolo Longo, disbriga bene il suo compito; lodevole l'apporto dei Piccoli Cantori della Città di Trieste preparati da Cristina Semeraro.
Il secondo cast vede impegnati Carlos Cardoso (Rodolfo), Filomena Fittipaldi (Mimì), Olga Dyadiv (Musetta), Luca Galli (Marcello) e Andrea Comelli (Colline).