Nella Bohème in scena a Napoli nell’ambito del San Carlo Opera Festival, Parigi è una suggestione al tempo stesso incombente e lontana. La città che incornicia le guasconerie e le passioni dei personaggi pucciniani è infatti evocata per mezzo di un fondale a pastello dai riflessi cangianti, ora avvolto dall’oscurità della notte e ora risplendente di colori accesi, attraversato da lievi ricami di neve o dal fumo svogliato delle ciminiere. Pochi gli elementi che compongono la scenografia, ideata da Lino Fiorito che firma anche i costumi: un piano inclinato che sembra voler portare la storia a più stretto contatto emotivo con la platea, due quinte appena sbozzate, arredi e accessori essenziali. Semplice e quasi scarno, il contenitore accoglie piccole trasformazioni al fine di delineare le diverse ambientazioni della vicenda rappresentata: la soffitta (che nel primo quadro è in realtà un terrazzo, ma recupera la sua natura di ambiente chiuso nel finale), la strada del Quartiere Latino, la dogana. In questo contesto uniforme, il regista Francesco Saponaro cala un’azione varia, vivace e garbata. Più riusciti appaiono i momenti che prevedono pochi attori in scena e le parentesi intime in cui Mimì e Rodolfo agiscono da soli, mentre la gestione delle masse rivela qualche incoerenza e produce un’euforia un po’ caotica che rende difficilmente leggibili le interazioni. Non mancano momenti di grande poesia, spesso ottenuti con la complicità delle luci di Pasquale Mari: nell’ultimo quadro, ad esempio, in concomitanza con il temporaneo rianimarsi di Mimì tra le braccia di Rodolfo, la sala viene rischiarata da un caldo bagliore che poi lentamente si affievolisce come a suggerire il dileguarsi degli spiriti vitali e la fine ormai imminente.
Dal podio Stefano Ranzani, che ha diretto Bohème al Metropolitan di New York nel 2014, guida l’orchestra sancarliana in un’esecuzione precisa e raffinata; il maestro milanese dosa con grande sapienza le sonorità, sceglie i tempi con oculatezza, si coordina alla perfezione con i cantanti e perviene così a una lettura lucida e insieme appassionata del capolavoro pucciniano. Molto bravi i giovani interpreti, a cominciare da Erika Grimaldi. Il trentacinquenne soprano astigiano sa incarnare il ruolo della protagonista con sensibilità e verità, sfoggiando un’emissione fluida e naturale e un impeccabile controllo dello spessore; la sua Mimì è caratterizzata da una delicatezza rara, declinata senza sbavature. Senz’altro da tenere d’occhio il genovese Matteo Lippi, classe 1984, notevolissimo Rodolfo, che può contare su una voce potente, un bel timbro e una ragguardevole sicurezza sia vocale che scenica.
Perfettamente a proprio agio nei panni di Marcello appare Alessandro Luongo, capace di passare con disinvoltura dai tratti scanzonati alle inflessioni più espressive. Anna Maria Sarra interpreta con brio la parte di Musetta, compensando largamente le lievi incertezze iniziali con una sicurezza crescente e un’ottima presenza scenica. Bravi Biagio Pizzuti (Schaunard) e Andrea Concetti (Colline), che si guadagna meritati consensi grazie a un’interpretazione sobria e appropriata di Vecchia zimarra. Una riuscita caratterizzazione di Benoît propone Matteo Ferrara, che disimpegna anche la parte di Alcindoro. Completano il cast Antonio Mezzasalma (Parpignol), Antonio De Lisio (sergente dei doganieri), Bruno Iacullo (doganiere) e Mario Thomas (venditore ambulante). Di certo non sfarzoso ma di alta qualità musicale, l’allestimento ha commosso e conquistato il numeroso pubblico presente in sala, che con il fragore degli applausi ha manifestato il proprio apprezzamento.