A vederla oggi, sembra impossibile che un’opera così geniale e arguta come La cantatrice calva sia stata accolta con notevole perplessità dal pubblico parigino che assistette alla prima rappresentazione datata 1950. Certo la dirompente rottura con il teatro tradizionale, attuata attraverso un’operazione sistematica di distruzione di un linguaggio ormai incapace di veicolare una comunicazione di qualsivoglia natura, agli occhi di spettatori meno smaliziati rispetto a quelli attuali parve davvero eccessiva e non suscitò quel senso di dirompente comicità che colpisce chiunque oggi assista allo spettacolo.
La banalità e la mediocrità assolute della vita degli Smith, interpretati in maniera icastica da Mauro Malinverno e Valentina Banci, fungono per così dire da fil rouge per questa non-vicenda che si dipana a poco a poco, grazie anche all’intervento in scena dei coniugi Martin (Fabio Mascagni e Elisa Cecilia Langone), portavoce delle convenzionalità sottese ad ogni rapporto di coppia, della cameriera Mary (Sara Zanobbio) e del capitano dei pompieri (Francesco Borchi). Una pendola posta nel salotto scandisce il tempo in modo incoerente, come sempre più incoerenti si fanno i discorsi dei protagonisti che, in un crescendo costante, giungono nello scoppiettante finale al delirio più assoluto, mostrando con lucida chiarezza come, nella confusione generale dei ruoli, gli Smith e i Martin, simboli di una borghesia vuota e stereotipata, siano addirittura tra loro interscambiabili.
Bravissimi tutti i protagonisti nel sottolineare con l’intonazione della voce e le movenze del corpo l’incongruenza profonda sottesa alle battute concepite dal genio di Ionesco e la frammentazione di un’espressione spesso privata anche dell’uso del predicato, a tratti lapidaria, sempre straniante, di conseguenza esilarante. Sullo sfondo di tutto ciò l’ambientazione seria di un interno inglese di inizio Novecento, che ricorda tanto “le buone cose di pessimo gusto” care alla memoria di Gozzano, scatola ideale di un mondo conformista che scivola nella banalità, ma al contempo stridente contraltare alla follia di ciò che avviene sulla scena.
Grande successo di pubblico per uno spettacolo imperdibile, capace di veicolare verità scomode attraverso una satira raffinatissima, ancora in grado di colpire con l’arma della comicità l’inanità delle nostre convenzioni sociali.