Musical e varietà
LA CANZONE DI NANDA

Archeologia dell'America on the road

Archeologia dell'America on the road
Può una bella voce, quella di Giulio Casale appunto, un’impeccabile direzione scenica, affidata all’ottimo Gabriele Vacis, e un testo che si costruisce e cresce su uno scheletro artisticamente ed intellettualmente robusto quale quello della “Canzone di Nanda” riuscire a toccare solo a sprazzi le corde più vive e vibranti del nostro emotivo? Farci sobbalzare con una parsimonia imprevista? Addirittura attrarci sull’odiosa carta moschicida della noia? E, se ciò accade, come prova la nostra diretta testimonianza, non è forse il caso di farsi qualche domanda? Di chiedersi, dunque, cosa ha guastato a tal punto un sì bel cimento? Perfetta, calibrata ed ineccepibile, la messinscena scorre senza sbavature, esempio e modello di un teatro che sopravvive ad ogni moda, un teatro che, a metà tra il teatro-canzone di Gaber ed il teatro-civile di Paolini o Baliani, si offre con l’invidiabile misura del più virtuoso funambolo delle feste previste e, forse proprio per questo, sembra quasi bloccare l’intera operazione sotto una teca di cristallo spesso che nulla restituisce al nostro cuore eccetto la perspicua perfezione della voce, una voce che canta e che ricorda, una voce che suona ma non crea. Un materiale ancora denso e vivo, un materiale in cui ancora coglieresti pulsioni, vibrazioni, carne e sangue, è come immerso in un’opaca formaldeide, quasi a volerne conservare intatta solo la forma e l’evidenza del sembiante, sopito a forza nell’algida distanza di una morte iniqua o di un’anestesia senza criterio. Un’occasione non sfruttata in tutta la sua potenziale carica suggestiva, senza dubbio, quasi un tradimento alla passione ardente di Fernanda, alla sua convinta devozione per la vita, alla grazia sgraziata e soffocata dei poeti.
Visto il 13-12-2009
al Galleria Toledo di Napoli (NA)