Lirica
LA CARRIERA DI UN LIBERTINO

Bologna, teatro Comunale, “Th…

Bologna, teatro Comunale, “Th…
Bologna, teatro Comunale, “The rake's progress” di Igor Stravinskij UN SOLO PENSIERO: “SODDISFARE ME STESSO” Quando Stravinskij compose la partitura di “The rake's progress” volle essere volutamente inattuale nelle forme ma non certo altrettanto nei temi. È storia che abbia avuto ispirazione visitando a Chicago una mostra con incisioni di stampo moralistico di William Hogarth e che abbia poi trovato in Auden una trasparenza totale di intenti, seppure si conoscevano solo superficialmente. Stravinskij compie un atto d'amore verso un lontano passato musicale, con contaminazioni di stili e riferimenti ad autori conosciutissimi, omaggio aperto ma non acritico, essendo ogni citazione coinvolta in una logica razionale superiore sia di linguaggio che di situazione. Quel dopoguerra di neorealismi, astrattismi e concettualismi non sembrava in linea con il lavoro stravinskijano, rispolverare un Settecento libertino ed illuminista nella musica e nella pittura. Ma se nel secolo dei Lumi si poteva ancora credere senza riserve nella libertà e nel progresso, nel secondo Novecento ci si doveva sforzare di crederci per superare l'angolo in cui la guerra aveva relegato ragione e libertà. E per questo la “favola” di Auden e Stravinskij diventa un vero apologo con intenti moralizzanti. Su questa linea si muove l'insolita, originale, geniale regia di Calixto Bieito, all'attesa prima prova italiana, dopo i dissensi ed i trionfi un po' in tutta Europa, in primis nella natìa Spagna. Partendo dal presupposto che oggi viviamo un tempo nel quale risulta difficile, se non impossibile, differenziare il bene dal male, il catalano ambienta il racconto in un parco giochi gonfiabile, in cui si è maldestri nel cercare un equilibrio (che non si trova mai), in cui tutto è allegro, coloratissimo, allettante. Ma transitorio. Appunto come l'oggi. Un oggi in cui l'umanità è degradata a una perenne infanzia in cui tutto è frullato, apparenza e realtà, denaro e miseria, vita e televisione, virtù e vizi, bontà e cattiveria, castità e promiscuità. Bene e male. E Tom, se da un lato non può non perdersi nella girandola delle emozioni del luna park, dall'altro non può che constatare amaramente come dietro non ci sia nulla, solo forma, solo apparenza, nessuna sostanza. Aria. Che, come arriva, se ne va. Lasciando NULLA dietro. Così alla fine il luna park si sgonfia e diventa materiale di risulta, impaccio, detriti calpestati e di ingombro sul pavimento di quel manicomio che è la realtà quotidiana. Detriti di una struttura in cui per alcuni momenti c'era stata l'illusione di vivere, di divertirsi. In linea con questo è anche il racconto che Shadow fa nel primo atto, reso visivamente con un cartone animato proiettato su uno schermo, un mondo chiaramente finto, ma in cui tutti credono. Geniale, pungente, straordinario Bieito, che si scaglia anche contro la televisione e con il suo essere unica depositaria della verità dell'oggi. Riecheggiano i fantasmi di Kierkegaard in questa messinscena, nell'incapacità di ridurre l'esistenza individuale all'armonia dei sistemi razionalistici: la filosofia di vita di Tom (“un solo pensiero, soddisfare me stesso”) si scontra con quella di Anne (“l'amore non dice bugie”, come porta scritto nella cintura della gonna) e conduce inevitabilmente al vuoto assoluto e ad una presa di coscienza della follia come unico finale possibile. Infatti quella che sembra armonia è, invero, una illusione, proprio come un parco giochi: spente le luci non è più vero nulla. Nonostante il divertimento. Nella scena finale dello spettacolo, che mi ha ricordato il Wozzeck, un'umanità dolente cammina lentamente verso il proscenio, braccia lungo i fianchi. Ma chi si aspettava il “solito” Bieito sarà rimasto deluso, non essendoci nessuno scandalo. Bieito è qui sempre meticolosissimo nel curare ogni singolo gesto, ogni singolo movimento, ogni piccolissima cosa, ma evidentemente meno eccessivo e provocatorio che altrove (Don Giovanni, Ratto dal Serraglio), seppure non per questo meno intuitivo e geniale nell'agganciare al contemporaneo la messa in scena, in una pedana fortemente aggettante sull'orchestra che sbilancia verso la platea del Comunale anche l'attualità del testo, che viene rispettato in toto, senza licenze, senza arbìtri. Contribuiscono notevolmente alla riuscita del bellissimo spettacolo la scenografia pneumatica di Rifail Ajdarpasic, i costumi cartoonistici di Ariane Isabell Unfried e le luci colorate e poi bianche di Daniele Naldi. Di livello alto il cast: Marlin Miller (Tom Rakewell, convincente ed espressivo in ogni momento), Richard Paul Fink (Nick Shadow, tenebroso e diabolico, ma con ai piedi pantofole in forma di coniglio), Ellie Dehn (Anne Truelove, capace di passare dalla serenità appagata del primo atto al dolore esistenziale del secondo), Sara Fulgoni (Baba the Turk e Mother Goose, voce potente e bellissima, come la presenza scenica), Massimiliano Tonsini (un Sellem volante, che sbomboletta di stelle filanti i coristi), Darren Jeffery (Truelove con la fissa del footing) e Michele Castagnaro (Keeper). Daniele Gatti ha diretto con piglio da musical l'orchestra del Comunale, azzeccando in pieno ogni movimento e creando la necessaria atmosfera all'opera voluta da Bieito; il coro è qui chiamato a una notevole prova che ha brillantemente superato, preparato da Marcel Seminara. FRANCESCO RAPACCIONI Visto a Bologna, teatro Comunale, il 21 novembre 2006
Visto il
al Comunale - Sala Bibiena di Bologna (BO)