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LA CENA DELLE BELVE

La cena delle belve: la colpa dei sopravvissuti

La cena delle belve
La cena delle belve

Pensare di partecipare ad un’amena riunione tra amici e scoprire di trovarsi a La cena delle belve.Secondo un luogo comune molto sfruttato, il pasto diventa l’innesco fomentatore di rancori mal repressi.

Pensare di partecipare ad un’amena riunione tra amici e scoprire di trovarsi a La cena delle belve… Secondo un luogo comune molto sfruttato, il pasto diventa l’innesco fomentatore di rancori reciproci mal repressi; la festa declina in tragedia di interessi contrapposti, guerre intestine sono portate alla luce dall’improvvisa vicinanza dei convitati. L’aspetto innovativo della pièce in oggetto, più volte rielaborata dall’autore Vahé Katcha dall’allestimento originale del 1960 (Le Repas des fauves) anche in veste cinematografica, consiste nei tabù alla base dello humour nero della tragicommedia.

La sceneggiatura ci riporta infatti agli orrori patiti nel corso della Seconda guerra mondiale e culminati nell’abominio della Shoah, punto di non ritorno nella coscienza della civiltà contemporanea e testimonianza ben salda dei vertici di crudeltà di cui è capace l’uomo nei confronti dei propri simili. L’abisso del male protende la sua ombra inquietante su un’innocente cena domestica, tramutandola in un implacabile j’accuse al termine del quale nulla sarà più come prima.

A cena con il nemico

Nonostante l’imperante clima di terrore (l’Italia del ’43, secondo la riscrittura di Vincenzo Cerami), sette amici decidono di gettarsi alle spalle i cattivi pensieri, festeggiando il compleanno della padrona di casa Sofia (Marianella Bargilli). Due convitati recano ancora dolorosa testimonianza delle sofferenze provocate dal conflitto: Pietro, soldato in congedo (interpretato da Alessandro D’ambrosi), ha perso la vista combattendo e Francesca (Silvia Siravo) è rimasta vedova di guerra. Gli incubi denegati si affacciano però incombenti senza posa. Contribuiscono al clima di attesa le proiezioni di cartoons horror sul fondale della scena e gli accordi stridenti di un valzer per pianoforte e violino utilizzato come colonna sonora negli intermezzi.

I brutti presagi si materializzano nell’improvvisa irruzione di un ufficiale tedesco delle SS (Ralph Palka). Giunge purtroppo l’attesa sentenza di morte. Il gioco sadico del tedesco, motivato da una rappresaglia, prevede che siano le potenziali vittime, confinate nella casa circondata, a dover stabilire entro un paio d’ore le due da sacrificare come ostaggi. Lo spazio confinato assume i contorni della camera della tortura e lo scorrere del tempo annebbia le menti, mentre gli ex sodali si riscoprono a loro volta potenziali aguzzini. Con fine psicologismo, Katcha rimpasta il tema molto frequentato del luogo angusto da cui non tutti potranno salvarsi. L’inchiesta su contraddizioni ed asperità dell’animo umano ci riporta ad un dialogo i cui toni comico-sarcastici degenerano sovente nella franca perfidia.

La belva della porta accanto

Posto dinanzi alla scelta estrema, ciascuno si scopre attaccato alle miserie della banale esistenza quotidiana. L’imperativo è addurre una ridda di false argomentazioni a sostegno della propria causa e per l’altrui danno. In una sequela di colpi di scena da seduta psicanalitica, la ricerca spasmodica di un escamotage svela con naturalezza il vero volto dei protagonisti e si manifestano moventi profondi, obiettivi e sentimenti in netto contrasto con la facciata di comodo dell’amicizia.

La scioltezza dell’interazione, ormai fortificata dal lungo sodalizio dell’ottimo cast guidato da Julien Sibre in collaborazione con Virginia Acqua, alterna l’acrimonia dei contendenti, degradati ad animali in lotta per la selezione naturale, ad un crescendo di eventi da brivido a rischio continuo della vita. Tra i simpatizzanti collaborazionisti con il regime, sobillati dai veleni del razzismo antisemita, e gli indifferenti, trincerati in un egoismo che non prevede la partecipazione attiva alle giuste cause, qualcuno sembra aver compreso.

Il definitivo smarrimento dell’umana fratellanza, la soppressione del senso di pietas tra viventi accomunati da un medesimo destino sono la condanna da espiare per i sopravvissuti al disastro. Alla fine, l’irriducibile cinismo dello spregiudicato Andrea (un debordante Maurizio Donadoni) insiste per ripristinare la situazione di partenza. Ma le profferte di amicizia restano senza risposta, la compagnia si scioglie, un autoscatto del gruppo di amici proiettato nel buio si erge a muta testimonianza del tempo felice delle illusioni.

Visto il 19-11-2019
al Verga di Catania (CT)