Lirica
LA CENERENTOLA

Cenerentola va a teatro (ma per lavorare)

Cenerentola va a teatro (ma per lavorare)

Abbiamo incontrato edizioni della Cenerentola rossiniana collocate in posti decisamente strani, come ad esempio un piccolo bar di quartiere anni '60, con tanto di juke box; ma una Cenerentola ambientata – siamo all'incirca negli Anni Trenta del secolo scorso, visti i costumi - nei locali di servizio di uno scalcinato teatro di varietà gestito da Don Magnifico, nel quale Clorinda e Tisbe si esibiscono in veste di scadenti ballerine, e dove la povera Angelina è costretta ad occuparsi - in tuta da operaio à la Charlot – della famelica caldaia a vapore, alimentandola con secchi di carbone, non s'era invero mai vista.

L'idea è germinata nell'ambito del team formato da Rodula Gaitanou, Simon Corder e Alexia Theodoraki: rispettivamente regista, scenografo e costumista dello spettacolo presentato la stagione scorsa alla Greek National Opera di Atene, ed ora portato dall'Egeo su su per l'Adriatico, sino ai moli di Trieste. Alquanto bizzarra come idea, di primo acchito, ma che si rileva rapidamente funzionale allo scopo anche perché – seguitando nel ragionamento, e con rapidi cambiamenti a vista – Don Ramiro diventa il facoltoso impresario del più moderno e lussuoso Palace Theatre, di cui Dandini è il factotum, Alidoro il contabile, e nel cui foyer si svolge la festa da ballo. Spettacolo senz'altro indovinato in ogni suo aspetto, poiché risolto dai tre soci con buona logica teatrale – e qui la fantasia registica in particolare mostra notevoli pregi - imprimendo un ritmo spedito e scorrevole, quanto cioè è richiesto dal vorticoso libretto e dalla turbinosa musica del Pesarese. Insaporendo poi il tutto con le giuste spezie: un cast affiatato e di buoni attori, un generoso pizzico di ironia, tante trovatine spiritose, un garbato gioco di siparietti in controscena e qualche agile inserto coreografico Broadway style.

Anche il direttore viene dalle sponde dell'Egeo, ed è George Petrou: per ora non molto noto in Italia – prima di questa Cenerentola, se non erro ha solo diretto a Bergamo la Ginevra di Scozia di Mayr – ma già lanciato in una solida carriera internazionale; e indubbiamente molto addentro nei meccanismi dell'opera sei-settecentesca, come rivela il repertorio sinora affrontato dal vivo e in disco, dove Händel soprattutto, e poi Hasse, Gluck ed il '700 in genere - con rade puntate al primo '800 di Verdi, Mayr e Rossini - appaiono i suoi punti di riferimento. Si porta dietro quindi non solo un'indubbia musicalità, ma pure una grande sensibilità filologica:  si china di persona sul fortepiano per i recitativi, ricerca ed ottiene uno strumentale variato, favorisce abbellimenti e da capo. Curiosamente, ha ripristinato l'aria 'da sorbetto' di Clorinda («Sventurata! Mi credea») un tempo utile per l'ultimo cambio di scena; brano ad onor del vero molto di mestiere, e solitamente omesso per non raffreddare l'apoteosi finale della “bontà in trionfo”. Ma allora, perché espungere in cambio da questa sua Cenerentola la spassosissima tirata di Don Magnifico «Sia qualunque delle figlie» ? Mah... Per il resto, il giudizio sulla sua presenza sul podio della duttile e calibrata Orchestra del Verdi, si può considerare nel complesso ben più che positivo: per il brio spumeggiante impresso a tutta l'opera – molto più difficile da eseguire di quanto possa sembrare a prima vista – e per il perfetto sostegno ai cantanti, e la precisa attenzione al tessuto armonico ed ai dettagli strumentali. Cose, quest'ultime, che restituiscono un bel gioco di riflessi sonori e di cambiamenti timbrici, con una limpida Sinfona ed introduzioni alle varie arie ben calibrate ed eloquenti.

Per questa produzione triestina, nell'insieme veramente riuscitissima sia scenicamente che musicalmente, abbiamo visto tra l'altro molti giovani al lavoro, in entrambi i cast, ed è una cosa che scalda il cuore.
La protagonista, José Maria Lo Monaco, ha fatto a ragion veduta del ruolo di Angiolina un suo vessillo: si difende bene sul piano della tecnica – ben tratteggiato in questo senso il rondò finale «Nacqui all'affanno...Non più mesta» – anche se magari le agilità più spinte andrebbero meglio rifinite; ma quello che più conta è che sa incarnare a meraviglia la trepidante grazia adolescenziale del suo personaggio, che emerge simpatico e franco nel carattere, ed arricchito di belle seduzioni timbriche. Don Ramiro è Leonardo Ferrando, visto lo scorso dicembre, sempre qui al Verdi, come Nemorino nell'Elisir. Non una vocalità miracolosa nell'insieme, la sua, quanto a smalto e levità; però abilmente amministrata nel fraseggio, nella ricerca dei colori, e sicura nei frequenti picchi disegnati da Rossini – come nell'ardua «Si ritrovarla io giuro» -  il tenore uruguaiano sa risolvere a dovere le continue altalene umorali di un carattere ora tenero e quasi sognante, ora virilmente risoluto. Trascinante in scena, elegante nel fraseggio e accattivante nella ferma colonna di fiato, il sornione Dandini di Fabio Previati, diviene padrone della scena sin dalla sua travolgente sortita «Come un'ape», e sempre pronto a destreggiarsi con ammirevole padronanza attoriale. Per Don Magnifico, la regia ha disegnato un profilo da vecchio ciabattone, laido e borioso, anziché descrivere il solito estroverso, debordante fanfarone. Qui lo troviamo affidato a Vincenzo  Nizzardo; e visto che il giovane baritono calabrese sa muoversi con buon cervello, ne esce un personaggio vocalmente convincente, per l'interessante caratura vocale e per la proprietà del sillabato: di qui il rimpianto dell'omissione della sua seconda aria, che avrebbe sicuramente bissato la riuscita di «Miei rampolli femminini». Composta da Rossini per una ripresa romana e destinata ad un basso di rilevante carisma quale Giovacchino Montada, l'articolata e nobile aria di Alidoro «Là nel ciel dell'arcano profondo» ha trovato nel bravissimo Filippo Polinelli un interprete a tutti gli effetti ideale; Lina Johnson e Irini Karaianni raffiguravano con notevole bravura le acide e petulanti sorellastre di Cenerentola, Clorinda e Tisbe, risultando – grazie alle sapide trovate di regia - spassose e simpatiche al tempo stesso. La Johnson ha anche risolto bene, e con il dovuto spirito l'aria «Sventurata! Mi credea».

Il Coro maschile del Verdi, preparato da Fulvio Fogliazza, si è disbrigato molto bene, benché continuamente impegnato a reggere i non facili giochi scenici affidatigli.

Teatro strapieno e pubblico evidentemente molto soddisfatto, pronto a sottolineare con caldi applausi il suo ringraziamento sia agli interpreti – specie alla Lo Monaco – sia allo spettacolo in sé, a dire il vero tra i più riusciti e coinvolgenti apparsi sulle scene triestine negli ultimi anni. Ricordiamo che il secondo cast vede la presenza di Ninon Dann (Angiolina), Vassilis Kavajas (Ramiro), Jeroboam Tejera (Magnifico), Rita Matos Alves (Clorinda).

(foto di Fabio Parenzan)

Visto il 10-04-2016
al Verdi di Trieste (TS)