Travestimenti mozartiani in salsa napoletana
Nel corso della sua parabola creativa, Roberto De Simone ha esplorato con intelligenza (e quasi sempre con profitto) l’accostamento e la mescolanza di ingredienti spettacolari eteronomi. Là ci darem la mano offre l’ennesimo esempio di ibridazione tra parola detta e parola musicalmente intonata: nel primo atto è il ‘microdramma’ Mozart e Salieri di Puškin a fornire l’impianto recitato di base, mentre nel secondo la struttura portante è fornita dalle scene finali del Don Giovanni di Da Ponte e Mozart, rese in forma declamata e farcite di molteplici innesti; entrambi i pannelli sono punteggiati da citazioni musicali di estensione variabile, vere e proprie ‘meditazioni’ su alcune pagine celeberrime della produzione mozartiana (tratte soprattutto dal Don Giovanni, ma con qualche eco del Requiem e un’isolata decantazione del mottetto Exultate, jubilate). E tuttavia stavolta il congegno musico-drammatico ideato da De Simone sembra meno efficace del solito: lo spettacolo, presentato già nel gennaio 2007, risulta piuttosto slegato, governato da una costruzione paratattica che non approda – come in altri luoghi della drammaturgia dell’autore – alla vertigine dell’accumulo, ma si assesta su allineamenti sgranati e scarsamente coesi.
Nel primo atto la recitazione di Franco Javarone (Salieri) e Biagio Abenante (Mozart) appare fuori tono e conferisce alla breve pièce di Puškin una patina di ‘napoletanità’ decisamente gratuita. Nel secondo atto gli stessi attori prestano voce e corpo rispettivamente al Commendatore e a Don Giovanni, mentre i burattini di Angelo Aiello e Flavia D’Aiello intrecciano una seconda rappresentazione en abîme, speculare e complementare rispetto all’azione principale, mettendo in scena un Don Giovanni del Sole alla maniera dell’Improvvisa (l’intersezione tra i due piani culmina nella trasformazione conclusiva in burattino di Wolfgang).
Se l’ordito nel suo complesso non convince e non avvince, interessante e godibile è il lavoro compiuto sui tasselli musicali. La riscrittura di De Simone agisce anzitutto sul timbro, riplasmato con la complicità degli undici strumentisti in buca diretti dal fidato Renato Piemontese. Il maestro partenopeo gioca inoltre sul colore vocale con ribaltamenti sorprendenti: come quando inverte i ruoli del duetto che fornisce il titolo all’opera, facendo cantare la linea vocale di Don Giovanni al mezzosoprano Francesca Russo Ermolli e quella di Zerlina al tenore Francesco Marsiglia (che merita un plauso per il timbro nitido e l’intonazione precisa).
Metamorfosi inopinate coinvolgono altri segmenti della partitura mozartiana. Nel primo atto si segnala il contrafactum a cappella di «Fin ch’han dal vino», eseguito dal Violinista cieco (Paolo Romano). Complessa è poi la costruzione del pezzo per il soprano Paola Quagliata, che si apre con l’Exultate, jubilate ma, dopo una cadenza per voce e tromba (un omaggio alla mitica esibizione giovanile di Farinelli?), prosegue con il tempo veloce del rondò di Donna Anna «Non mi dir, bell’idol mio». Notevole è pure la rielaborazione di «Dalla tua pace» in forma di quartetto con funzione di Finale primo.
Nel secondo atto le trasformazioni si arricchiscono di ulteriori implicazioni. L’aria di Donna Elvira «Ah chi mi dice mai» è affidata al tenore, e i pertichini di Don Giovanni e Leporello lasciano il posto al rap irriverente del Violinista cieco. Enrico Vicinanza (in quest’occasione non adeguatamente valorizzato) prima intona in falsetto la serenata «Deh vieni alla finestra» e poi canta da tenore nel ruolo di Don Ottavio. Il mezzosoprano si impossessa dell’aria del catalogo di Leporello, che però nella parte lenta diventa un raffinato blues. Trascinante, infine, è il pot-pourri affidato all’esuberante Renata Fusco: un vorticoso tritacarne che, sullo sfondo del celebre rondò ‘alla turca’ dalla sonata per pianoforte K. 331, macina emblemi musicali d’ogni genere e d’ogni epoca.
Teatro Delle Palme - Napoli, 16 ottobre 2008
Visto il
al
Delle Palme
di Napoli
(NA)