!['La La classe](/old/2020-01/teatro.it-La-classe-ph-Federico-Riva-01.jpg)
La classe è uno spettacolo che ci riporta sui banchi di scuola con un crudo realismo dai tratti poetici. La sua bellezza sta proprio nel testo, scritto da Vincenzo Manna e portato in scena con la regia di Giuseppe Marini.
La classe è uno spettacolo che ci riporta sui banchi di scuola con un crudo realismo dai tratti poetici. La sua bellezza sta proprio nella forte alternanza dei toni del testo scritto da Vincenzo Manna e portato in scena con la regia di Giuseppe Marini.
"L’uomo è un animale sociale", diceva Aristotele. E infatti, questa è una classe umana, animale, una classe scolastica ma anche una classe-specchio della società, che ne traccia un ritratto psicologico degradante e, tuttavia, può, forse, trovare una speranza di salvezza solo nella morale e nella cultura.
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Uomini che sono animali
I ragazzi de La classe sono studenti di un Istituto Comprensivo specializzato in corsi professionali che avviano al lavoro. Sono ragazzi “difficili” che sono stati sospesi per motivi disciplinari. Sono animali di uno "Zoo", una strana accezione usata per indicare uno dei campi profughi più vasti del continente.
Il loro cinico Preside (Claudio Casadio) li descrive usando una metafora, quella delle galline, animali comunemente considerati sciocchi, privi di una forte razionalità. Essi vivono agendo sull’onda di emozioni inarrestabili, spesso violente, ma proprio in queste ultime essi trovano paradossalmente la ratio della loro esistenza.
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Diversi spaccati di vita sono rappresentati dai ragazzi: uno zingaro che vive in un campo di rifugiati (Edoardo Frullini), un ragazzo di colore senza casa e senza famiglia che spesso si ferma a dormire a scuola quando la strada diventa troppo pericolosa anche per chi, come lui non teme nulla (Haroun Fall), ragazze complessate, abusate, sprezzanti della vita (Cecilia D’Amico, Valentina Carli e Giulia Paoletti), un bullo che nasconde dietro la sua immagine dura e violenta le più grandi fragilità (Brenno Placido).
Quando nella scuola arriva il nuovo professore di storia, l'intellettuale Albert (Andrea Paolotti) per tenere un corso pomeridiano di recupero crediti, lo scontro è inevitabile. L’insegnante nasconde una storia tormentata, mai apertamente raccontata ma che lascia trapelare una profonda rabbia e delusione, la stessa che cova dentro gli studenti. La sua apparente calma e rassegnazione cozza con la rabbia e la ribellione giovanile verso il sistema. In realtà i due differenti approcci alla contemporaneità adottati rispettivamente dal professore e dagli studenti sono solo due facce della stessa medaglia.
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Albert cerca di richiamare la loro attenzione recitando l’elogio funebre di ciascuno di loro in occasione di un ipotetico funerale. La reazione è di un’immensa paura che li costringe a guardarsi dentro e a fare i conti con gli orrori delle loro vite.
Ciò li porterà a capire che gli artefici di tali malesseri non sono altro che loro stessi. Le settimane trascorrono veloci, scandite dai ritmi rock e punk che tratteggiano l’intero spettacolo, segnate da luci e ombre, dal giorno e dalla notte. Il vuoto delle anime contrasta con la pienezza della scena fatta di banchi buttati per aria in seguito all'ira, look aggressivi, capelli viola, berretti di lana, calzati sugli occhi per nasconderne la disperazione, felpe troppo larghe o troppo strette per celare corpi che vogliono apparire e scomparire; la marijuana cerca, invano, di colmare la noia e l’inquietudine di un giorno sempre uguale al precedente, il sesso tra i giovani, acerbi e inesperti, viene rubato qua e là nel tentativo di trovare qualcosa che somigli anche solo approssimativamente all’amore.
Una missione umana di speranza
Nonostante tutto Albert, intravedendo nella rabbia dei ragazzi una possibilità di comunicazione, riesce a far breccia nel loro disagio e conquista la fiducia della maggior parte della classe. Abbandona la didattica passiva suggerita dal Preside e propone loro di partecipare a un concorso, un bando europeo per le scuole superiori che ha per tema “I giovani e gli adolescenti vittime dell’Olocausto”. Poiché la forza di un branco crolla non appena ci si ritrova soli con se stessi, gli studenti vengono in qualche modo scossi. Dentro di loro si attua un nuovo processo di consapevolezza. Si impegnano a ricostruire le storie delle vittime di un Olocausto nuovo, contemporaneo, fatto di immigrazione, di violenza, di abusi, guerre.
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Le notizie che riempiono la cronaca dei giornali aprono davanti ai loro occhi scenari terribili e silenziosi. Taluni necessitano di maggiori forzature. In tal senso, disarmante è l’estremismo di uno di loro, Nicolas (un intenso e feroce Brenno Placido), comprende pienamente il senso di ciò che sta accadendo solo quando il dramma da sempre vissuto tacitamente dalla sua ragazza, culmina nel suicidio.
Urla e ruggiti si scagliano contro un sistema che non funziona ma solo perché sono i suoi stessi elementi a non funzionare. Ma a quel punto i ragazzi sono ormai cresciuti, forse è troppo tardi o forse la missione di Albert da semplice esperimento morale e intellettuale sarà riuscita finalmente a migliorare le loro vite attraverso l’esplicitazione della sofferenza e la consapevolezza del fatto che la legge del più forte domina la giunga: "lo Zoo" del mondo, in realtà non esiste.