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LA COMMEDIA DEGLI ERRORI

La Commedia degli Errori L…

La Commedia degli Errori

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La Commedia degli Errori La mania più frequente che si riscontra nella messinscena di una qualsiasi opera di Shakespeare è l’assurda smodata propensione di appiccicarci una chiave di lettura pseudo-innovativa, originale, magari un po’ controcorrente, meglio ancora se cozza terribilmente col testo ma necessariamente trendy. Il più delle volte si assiste ad uno spietato stupro per il piacere di spettacoli che tengono più in considerazione l’inconscio poetico e visionario del regista che i reali temi trattati dall’opera. Cosi in questa “Commedia degli errori” s’è cercato di ripiegare con tanti mezzucci e stilemi la lacuna immensa di sostanza: una recitazione macchiettistica e di cliché toglieva senso e valore a tutto ed impediva la comunicazione tra i vari attori che spesso e volentieri andavano avanti in completa sordità e col solo intento di strappare una risatuccia con uno sberleffo da parrocchia, altri invece si lasciavano sdilinquire ad impeti di passione sfoderando il meglio della propria enfasi. Non credo che la colpa sia tutta degli attori, anzi, sembrava portassero avanti richieste di una regia tutta improntata sulla forma, senza nessun contenuto. Gli intermezzi erano la nota dolente: una pantomima didascalica e banale. I costumi di Santuzza Calì erano davvero belli, inconsueti, con ottimi accostamenti di colori e forme. Questo severo quadro non è che una mia versione di ciò che ho visto e bisogna dire ad onor del vero che taluni sembravano divertirsi, ma più andava avanti lo spettacolo più mi sovvenivano chiari e limpidi i versi proprio di Shakespeare, Amleto atto III scena II, chi vuol capir capisca. ROMA GLOBE THEATRE SILVANO TOTI 8-08-2008
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