Niente a che vedere con i tormentoni sui cuochi più o meno stellati e con le ricette presentate in tv come distillati di arte, sapienza, tradizione, innovazione. E chi più ne ha, più condisca. Quando Arnold Wesker, venticinquenne, ebbe l’idea di ambientare una sua commedia in cucina correva l’anno 1957 e la mitologia dei fornelli non era ancora diventata reality. La nuova produzione dello Stabile di Genova propone quindi un’idea di forte valenza simbolica, che con le ricette ha poco a che vedere. O per meglio dire: ne ha tanto quanto gli hotel di tanti film riproducono la realtà dei mestieri alberghieri.
L’ambientazione che Valerio Binasco colloca sulla scenografia di Guido Fiorato, un caos sapientemente fumoso che odora a volte di zolfo, vale come crocevia della più varia umanità. Davanti ai fornelli si litiga, si incrociano etnie, culture, pregiudizi, rivalità, voglia di far niente e speranza di mettersi in luce. In questa struttura il caos iniziale dei lavoranti, che diventa cosmos e chiara metafora del mondo nel secondo tempo, lascia avvertire un limite del copione. In altre parole: si attende troppo proprio nella parte più formalmente adrenalinica, per essere realmente trascinati e avvinti. Lavoro degno di nota comunque, pur in fase di rodaggio, anche per lo straordinario cast di interpreti che il regista orchestra e che tutto il teatro italiano dovrebbe tener d’occhio. E’ una squadra di venticinque elementi, tra giovani freschi di studi alla scuola di recitazione del teatro di Stabile di Genova e altri già maturi. In tempi di crisi non è facile portare in scena un lavoro corale. Può permetterselo chi ha alle spalle una fabbrica di apprendisti talentuosi e intende la loro formazione come una funzione primarie del teatro pubblico.
In una cucina corale come questa tutti gli interpreti meritano applausi, ma alcuni si imprimono negli occhi dello spettatore con forza particolare: impossibile non citare Aldo Ottobrino, alias Peter, addetto al pesce. Lascia il segno duettando in una nevrotica storia d’amore con la capo cameriera, Elisabetta Mazzullo, ormai una delle giovani risorse del teatro italiano. Ma è il suo scontro finale con il proprietario del ristorante (Massimo Cagnina) a far prendere il volo allo spettacolo.