Lirica
LA DAMA DI PICCHE

Milano, teatro degli Arcimbol…

Milano, teatro degli Arcimbol…
Milano, teatro degli Arcimboldi, "La dama di picche" di Cajkovskij NEVROSI CONTRO AMORE La dama di picche trae ispirazione dal racconto omonimo di Puskin, inquietante storia di un'ossessione che porta il protagonista alla rovina e alla follia. L'autore del libretto, Modest Cajkovskij, fratello del compositore, trasforma la vicenda originaria in una tenebrosa storia d'amore e di morte, la storia della passione travolgente e fatale di Hermann per Liza, ambientata all'epoca di Caterina la Grande. La musica punta soprattutto a tessere una rete di corrispondenze simboliche tra l'azione di superficie ed i sottintesi occulti, rivelati dalla trama delle continue citazioni e dei motivi ricorrenti (l'ossessione per il gioco, l'amore, il destino legato alla contessa e al suo fantasma, quindi il tema del gioco, il tema dell'amore, il tema del destino). Per la felicità dell'ispirazione e per la straordinaria compattezza, La dama di picche è il capolavoro di Cajkovskij e può essere considerata uno degli esiti più alti del teatro musicale russo. Un clima emotivamente tormentato pervade tutta l'opera e il fantastico sembra molto più legato agli abissi della psiche umana che non ai misteri dell'aldilà (ad esempio: il fantasma della contessa è un delirio di Hermann, ormai in preda alla follia, oppure si tratta di una presenza sovrannaturale vera e propria?). Tutto resta inquietantemente sospeso. Lo stesso riferimento al Settecento, sia dal punto di vista dell'ampio ricorso ai materiali musicali sia dell'ambientazione, ed i sostanziali cambiamenti del libretto rispetto al racconto di Puskin, sono il segno di un disagio profondo del compositore nei confronti del presente, il vagheggiamento di un mondo irrimediabilmente perduto, lo sbilanciarsi pericolosamente su un abisso sinistro e perturbante, quello dell'insondabilità dell'animo. L'epoca in cui Cajkovskij scrive, il 1890, è, infatti, quella delle affascinanti teorie di Bergsonn (il tempo come durata) e Schopenauer (il velo di Maia), che cancellano l'idea di uomo-padrone-del-tempo-e-dello-spazio, anzi propongono un uomo impantanato in una crisi profonda e sempre più immerso nelle pieghe del suo animo, che al tempo stesso attirano ed impauriscono, inspiegate fino alle rivelazioni freudiane. Il nuovo allestimento della Scala (direttore Yuri Temirkanov, regista Stephen Medcalf, scenografo e costumista Jamie Vartan, coreografo Jonathan Lunn, luci di Simon Corder) ha visto una regia abbastanza tradizionale, una magnifica esibizione del coro e una ottima direzione orchestrale, che ha evidenziato i tanti riferimenti contenuti nella partitura e nel libretto. Da antologia l'esecuzione dell'introduzione, in cui si intrecciano il tema delle tre carte affidato agli ottoni ed il tema dell'amore sottolineato dei violini, come l'intermezzo pastorale nel secondo atto da musiche mozartiane. Nel complesso è stata resa in modo perfetto la drammaticità dell'opera, che oscilla dal romanticismo al decadentismo, dalla passione amorosa di Liza alla nevrosi di Hermann. Il palcoscenico è inquadrato da quattro colonne di plexiglas che sostengono una trabeazione d'acciaio, quinte nere e sfondo di cielo bianco poi azzurro nel primo quadro, nero negli altri. All'apertura del sipario il giardino d'inverno è indicato da una teoria di ringhiere, intervallate da piedistalli con su statue (che poi prendono vita, sembrano i tanti artisti di strada che si vedono sugli odierni marciapiedi, brutto espediente, seppur belle le luci di taglio): qui passeggiano diverse persone, soprattutto bambini che giocano e giovani signore con carrozzine. Dall'inizio è subito chiaro che l'inconscio sottende alla storia che si racconta: nello splendido quintetto del primo quadro l'oboe dominante richiama istintivamente paure inspiegabili razionalmente, confermate dagli sguardi carichi di timore e disagio che la Contessa lancia a Hermann (lui: "io tremo! A me dinnanzi - fatidico fantasma - la vecchia oscura è apparsa... Negli occhi suoi tremendi la mia condanna io leggo - ed essa è muta. Che cosa vuol da me, che cosa vuole? Uno strano potere ha su di me il sinistro fuoco degli occhi suoi! Chi è, chi è costei?". Lei: "Io tremo. E' ancora qua lo sconosciuto oscuro e misterioso! Fatidico fantasma, in preda egli è a una passion selvaggia... Che cosa vuole costui, perseguitandomi? Per quale ragione è ancora a me dinnanzi?"). La loro inquietudine privata presto si allarga a dimensione collettiva, arriva un temporale annunciato dai flauti, tuoni e fulmini, i coristi hanno gli ombrelli aperti, per Hermann è il momento di leggere chiaramente nel suo cuore: "Davanti a voi solennemente io giuro: ella sarà mia, ella sarà mia, mia, mia, oppure morirò". In un attimo scompaiono tutti gli elementi di scena e da destra entra una struttura chiusa, la camera di Liza, vista da fuori: muro bianco, ringhiera di ferro battuto, una grande porta finestra. Poi, come le due metà di un guscio di noce, la parte davanti scorre e rivela l'interno della stanza, in cui alcune donne cantano attorno a un pianoforte ed altre assistono sedute (bella immagine, con la servitù schierata sul balcone ad ascoltare), un artificio scenografico che si rivela assai funzionale nella rappresentazione, permettendo la vista contemporanea del dentro e del fuori. Il duetto Liza - Polina su temi arcadici è eseguito in maniera impeccabile sulle dolci note del pianoforte, accompagnato velatamente dall'orchestra, ed è reso perfettamente il senso di intimità e di attesa lieta e serena, seguito subito dalla lamentosa canzone di Polina e dalla folkloristica e allegra danza. Nel secondo atto solo un lampadario a dare l'idea del salone da ballo, con quattro vestiti che scendono dall'alto a completare l'abbigliamento dei protagonisti. Brilla il baritono Dmitri Hvorostovsky nell'esecuzione intensa e partecipata della romanza "D'immenso amor io v'amo". L’amore del Principe è forte e brillante come la luce rossa che filtra dalla porta socchiusa sullo sfondo e spezza in modo urlato il buio imperante: la forza dell'amore, la potenza della passione, quella vera, che lo spinge a farsi da parte appena percepisce che Liza non è felice con lui. Nel complesso la sua voce ha un bellissimo timbro, scuro e brunito, e la sua esibizione è splendida, sicura, elegante, raffinata e piena di passione. La pastorale è il momento scenotecnicamente più felice. Un piccolo teatro all'italiana avanza da fondo scena, i cantanti si siedono su sedie con le spalle alla platea e tutti insieme assistiamo alla rappresentazione dell'amore di Prilepa e Bellosguardo (alias Dafne e Cloe), accompagnati dai componenti il corpo di ballo della Scala. La ricostruzione dà perfettamente l'idea del momento storico e la voce di Svetlana Lifar è pulita e modulata, con un bel colore e un timbro deciso. La scena culmina con l'arrivo di Caterina, zarina di tutte le Russie, solo una fugace apparizione: il telo di fondo si solleva a rivelare un'immobile figura in bianco e nel contempo il sipario di abbassa sulla fine del quadro. A contrasto l'apertura musicale del quarto quadro, cupa ed inquieta, una resa dei conti tra la Contessa (Tatiana Erastova è versatile sul piano della recitazione e particolarmente convincente nell'aria "Je crains de lui parler la nuit", ripresa da Riccardo Cuor di Leone di Grétry, cantata come una specie di ninnananna al principio del sonno, o forse piuttosto sull'orlo della morte) e Hermann che sembra un duello, teso e lacerante, in cui entrambi i contendenti escono sconfitti, lei in ombra sulla sedia, lui illuminato steso a terra. Stessa immagine con cui si apre l'atto successivo, dove tre botole aprendosi rivelano le tre carte vincenti, tre, sette, asso, su un momento musicale felicissimo, rielaborato da Cajkovskij un paio di anni dopo per Schiaccianoci. A seguire rientrano dai lati i cancelli, con un movimento che ricorda il moto ondoso di un fiume, lo stesso in cui Liza si getterà di lì a poco. Elena Prokina, all'interno di una prova non memorabile, riesce a colorare la voce di toni scuri in questo intenso momento, anche se l'emissione vocale risulta talvolta troppo impetuosa, a discapito della modulazione, ma la sua è una parte molto difficile che presuppone una tessitura da soprano drammatico ed una da soprano lirico. Molto efficace il momento in cui Liza si uccide: fugge via dietro le quinte, i cancelli si aprono e dal basso sorge la statua imponente di un marinaio che regge tra le braccia un'annegata. Il cambio di registro è immediato, l'atmosfera "maschile" e giocosa di una casa da gioco, con il senso di cameratismo che lega piacevolmente i giocatori tra loro ed ai tavoli verdi. L'ingresso del Principe è inaspettato ("è la prima volta che vengo qui. Lo conosci il proverbio: sfortunato in amore, fortunato al gioco... Non mi sposo più. Non fare domande") e l'arrivo di Hermann crea turbamento (il tenore Vitali Taraschenko inizia con qualche difficoltà ma poi recupera bene e la sua prova si lascia seguire con piacere, fino al finale partecipatissimo). I violini si impongono sul crescendo dei fiati, mentre i coristi si sparpagliano sul palcoscenico ormai vuoto, illuminati da luci livide e grigie, come un'alba fredda dopo una notte febbrile e insonne. Visto a Milano, teatro degli Arcimboldi, il 05 marzo 2005
Visto il
al Arcimboldi di Milano (MI)