Lirica
LA DAMNATION DE FAUST

Napoli, teatro di San Carlo, …

Napoli, teatro di San Carlo, …
Napoli, teatro di San Carlo, “La damnation de Faust” di Hector Berlioz FAUST IN PENOMBRA La produzione sinfonico-corale di Berlioz cerca di superare il modello beethoveniano, nel senso di andare oltre, proiettandolo in una dimensione non “terrena” ma intrisa di elementi descrittivistici: la musica diventa capace di rappresentare direttamente idee, drammi umani e conflitti interiori. La damnation de Faust è una “leggenda drammatica”, esempio tipico dell’aspirazione dell’autore ad arricchire di contenuti e nuove possibilità timbriche l’orchestra tradizionale. Dedicata a Ferenc Liszt, Berlioz utilizzò in parte le “Otto scene dal Faust di Goethe” da lui composte e pubblicate nel 1829 e poi distrutte (ma le “Szenen aus Goethes Faust” sono di Schumann, a Parma la stagione scorsa per il progetto pluriennale dedicato a Faust). La prima rappresentazione assoluta fu all’Opéra-Comique di Parigi nel 1846, mentre a Montecarlo la prima rappresentazione in forma scenica nel 1893: da allora viene eseguita sia in veste sinfonica che operistica. A Parma si sono date entrambe, in forma scenica nel gennaio 2007 e in forma di concerto nel maggio 2004. C’è da premettere che, dopo avere visto La damnation de Faust di De Ana a Parma, ogni successiva messa in scena può apparire convenzionale, passata. Però, entrando nel San Carlo splendido dopo i restauri, si è cercato di dimenticare quella marea visionaria. Lo spettacolo di Jean Kalman amplia il concetto di rappresentazione in forma di concerto e riduce il senso dell'allestimento, proponendo una versione intermedia, scenica ma statica. Le luci immergono il palco in una cupa penombra da cui emergono all’inizio lunghe e vorticose pennellate verdi, con sullo sfondo un sole circondato da spirali, alla maniera di Van Gogh o piuttosto di Munch, maestro del cupo presagio e delle angosce esistenziali. Il Faust di Berlioz, contrariamente a Gounod ed altri, è preda della malinconia e ciò che lo spinge a perdersi è lo scarso attaccamento alla vita, piuttosto che il desiderio del proibito o il fascino del baratro. Kalman propone elementi-simbolo: una mela d’oro per Faust, una mascherona nera per Méphistophélès, un gomitolo rosso per Marguerite. In alcuni momenti concretizza elementi del libretto: pipistrelli “esprits des flammes inconstantes”, montagne “nature immense, impénétrable et fière”, petali di rose dove richiesto, lampadine rosse per la taverna di Auerbach a Lipsia. Una grande luna “terragna” assiste ai pensieri del suicidio, cancellati dallo squarcio dell'apparire di Marguerite e di veli bianchi leggerissimi. Nel finale ascende in cielo l'abito bianco di Marguerite. Ma i lunghi momenti sinfonici rimangono pressoché privi di azione. Non univoca la scelta dei costumi di Emanuel Ungaro, due palandrane per Faust e Méphistophélès, costumi storici per Marguerite e due ancelle e abiti neri contemporanei per il coro, corredati da belle e colorate sciarpe al collo. José Bros è un Faust malinconico con una parrucca bianca in testa; la voce è generosa e dalla linea pulita, però in alcuni momenti l’acuto ha pericolose oscillazioni, poco controllate. Erwin Schrott è un Méphistophélès volitivo, imprigionato in una terrificante maschera nera; la bella voce è adatta a rendere il personaggio, con screziature che evidenziano l'evolversi degli eventi; l’interpretazione vocale più che giocare sull'inquietante, privilegia la seduzione intellettuale con effetti di irresistibile fascino. Sonia Ganassi ha una grande voce, straordinariamente espressiva; il regista la vuole casalinga, docile, intenta a raggomitolare la lana e la Ganassi la rende in modo interessante: più che Penelope e le ancelle, Marguerite e le comparse sembrano le tre Parche coi destini degli umani in mano, tanto la voce del mezzosoprano è seduttiva e toccante, per niente fanciulla. Con loro il Brander di Maurizio Lo Piccolo in giacca chiara gessata, la voce celeste di Bernadette Siano e la danzatrice Loredana Conte, che interpreta un gatto nero presente in scena a legare le scene, in contrasto-confronto con l’uomo bianco reggicroce di Antonello Cossia. George Pehlivanian aveva già diretto a Parma (maggio 2004); qui rende la partitura con attenzione, evidenziando la sequenza delle varie scene ma restituendone non tutti i fremiti dannati. L'orchestra lo segue in modo mirabile. Il coro è fondamentale in questa opera e quello del San Carlo è stato ben preparato da Marco Ozbic, mentre il coro di voci bianche da Stefania Rinaldi e posizionato dal regista nei palchi di proscenio. Qualche posto vuoto in platea. La recita è stata a tutti gli effetti la prima a causa di uno sciopero. Visto a Napoli, teatro di San Carlo, il 20 marzo 2009 FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al San Carlo di Napoli (NA)