Lirica
LA DAMNATION DE FAUST

Parma, teatro Regio“La damnat…

Parma, teatro Regio“La damnat…
Parma, teatro Regio“La damnation de Faust” di Hector Berlioz IN QUEL CERCHIO LA VITA “La miglior sorte dell'uomo pensante è di avere indagato l'indagabile e di venerare serenamente l'insondabile”, così scriveva Goethe in “Sulla natura e le scienze naturali” ed è facile capire come il giovane Berlioz sia rimasto affascinato. Di più, alla prima lettura di Faust Berlioz ne fu impressionato al punto da musicarne alcune scene e da inviare la partitura allo scrittore per un giudizio. Che però non fu quello che egli sperava. Infatti il consulente musicale di Goethe lo stroncò, trovandolo orribile. Ma ciò non diminuì l'emozione di Berlioz alla lettura, alla rilettura, alla meditazione sulle parole, sui personaggi, sugli infiniti agganci, sui rimandi inesauribili ed inesausti. Un lavoro incessante che lo portò ad una revisione dell'iniziale partitura, o meglio alla sua riscrittura, tanto le pagine iniziali sono state stravolte, ricavandone una “légende dramatique” che altro non è che un susseguirsi di scene slegate da ogni nesso drammaturgico, un affastellamento di emozioni, di sensazioni, di ricordi. E di musica. Un affresco emotivo che non poggia su nessun dato concreto, se non su un'emozione. Con questa regia Hugo De Ana è al Regio di Parma al secondo capitolo di un percorso di ricerca su Faust, dopo Gounod della scorsa stagione. E anche lui procede per accumulo, un accumulo anzitutto di immagini, eppoi di sentimenti, emozioni, suggestioni, visioni, in bilico tra realtà e sogni, cielo e terra, onirico e tangibile, ma sempre in una dimensione visionariamente dannata, invasa da lampi iconici. De Ana in Gounod aveva centrato tutto sul quadrato, un universo trasparente la cui forma era comprensibile e primaria (era però difficile, se non impossibile, capirne il contenuto ed i piani interni, come non agevole è leggersi dentro l'anima, mutatis mutandis). In Berlioz De Ana parte dal cerchio, una dimensione da cui tutto si origina e a cui tutto ritorna, un moto che ha in sé il senso della perpetuità, non contenitore né contenuto ma contenitore E contenuto, preistorico catino meteorico o modernissima parabola che capta ogni segnale, lo traduce in segno iconico immediatamente percepibile ed intellegibile e lo amplifica, riproducendolo. E' evidente che De Ana ha lavorato con infinita passione, credendoci fino in fondo, curando in modo molto ricercato non solo le immagini ma anche la gestualità dei cantanti. Il risultato è incredibile, surreale, ultraterreno e sanguigno allo stesso tempo. Le immagini sono un cumulo stupefacente, una quantità che travolge, un piacere per l'occhio, inaspettato in un'opera scritta per essere rappresentata in forma di concerto poiché priva di ogni drammaturgia. E allora ecco la mela per il desiderio di Faust, Cristo come simbolo di sofferenza, un amletico teschio per la paura dell'abisso, solo pochi esempi di una messa in scena onirica e visionaria che è arduo rendere a parole. Giuseppe Sababtini affronta con sicurezza di voce ed arte scenica il ruolo del titolo e lo fa in modo encomiabile. Nino Surguladze è Margherita, la metà di Faust e quale idea più immediata che due metà di una specie di noce di cocco gigante? Indimenticabile la scena della presa nei lacci di nylon rossi, lei marionetta nelle mani del destino, o del demonio. Oppure le foglie d'autunno, che si accompagnano al suo “Ahime! Lui non viene”. Michele Pertusi (irriconoscibile a causa del trucco) è un Mefistofele fin troppo ghignante, unico rimasto del cast dell'allestimento ascoltato in forma di concerto al Festival Verdi 2005. Paolo Battaglia è Brander, clown con le chiappe al vento che si rivela, inaspettatamente, un Cristo solo e sofferente, una delle intuizioni più felici. L'apporto del coro è fondamentale e Martino Faggiani ha ben preparato il Coro del Regio alla mutevolezza di toni e registri; il Coro di voci bianche è diretto da Sebasatiano Rolli. Michel Plasson ha diretto con sicurezza l'ottima orchestra del Regio ed è riuscito a dare continuità ad una partitura che non ne ha: di fronte a quello spettacolo per gli occhi, l'unico rischio era dimenticare la musica. Infatti De Ana è riuscito ad indagare l'indagabile ed a venerare serenamente l'insondabile, come scriveva Goethe. La salvezza è per tutti. La ciclicità porta alla luce, solo luce, la luce del cuore. Una luce sul petto di ogni persona sul palcoscenico. Il cuore che si fa luce verso gli altri. Nel buio, solo luce. Nella ciclicità del cerchio e della vita. Alla fine, meritatamente, un uragano di applausi. Visto a Parma, teatro Regio, il 30 gennaio 2007 FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Regio di Parma (PR)