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DIARIO PERPLESSO DI UN INCERTO

La danzatrice del tempio a Venezia

La danzatrice del tempio a Venezia

Sembra incredibile ma La Bayadère, vale a dire uno tra i balletti più famosi e più importanti del repertorio classico, creato a San Pietroburgo nel 1877 da Marius Petipa e Ludwig Minkus e rimasto da allora sempre nel repertorio dei teatri russi, è giunto sulle scene occidentali solamente nel 1961. E mica per intero: solo la scena de “Il Regno delle ombre”, il classico momento di 'ballet blanc' che apre il terzo atto, fu infatti presentata – suscitando un interesse e un successo strabilianti - al parigino Palais Garnier dalla compagnia di ballo del Teatro Kirov, impegnata allora nella prima tournée fuor di patria di un complesso artistico sovietico. Si trattava ovviamente di una compagnia di siderale livello tecnico, che vedeva in prima fila tra le sue vedettes un giovane e prodigioso ballerino che rispondeva al nome di Rudol'f Nereev: il quale, di lì a poco – si era ancora in clima di Guerra Fredda - si sarebbe rifiutato di rientrare in patria suscitando un vero e proprio caso politico. Per conoscere questo caposaldo del repertorio ottocentesco nella sua interezza, si dovette invece attendere ancora un paio di decenni: solo nel 1980 venne infatti presentato nei suoi quattro atti originali a New York, per essere poi messo in scena a Londra Milano e Stoccolma sempre grazie alla ballerina Natal'ja Makarova, altra transfuga in Occidente. Tra l'altro, per i casi del destino, l'ultima coreografia di Neerev fu per l'appunto una Bayadère montata con immane fatica all'Opéra di Parigi, e presentata alla fine del 1992, due mesi appena prima della morte. In una versione in tre soli atti (La foresta sacra, Il palazzo, Il regno delle ombre), ovviamente, come accade di solito perché il quarto (l'imponente La collera degli dei) non si usa quasi più eseguirlo, preferendo dare maggior compattezza allo spettacolo e terminando il balletto con la morte del protagonista maschile.
E' questa una scelta ormai abituale, condivisa anche da Thomas Edur, che ben lo conosce avendolo interpretato anche con la moglie Agnes Oaks quando entrambi militavano nell'English Ballet: Il ballerino e coreografo estone ha preferito poi evitare in questa sua recente, personale rivisitazione della celebre coreografia di Petipa - ripresa tante di quelle volte, che non sempre è ben chiaro cosa e quanto rimanga dell'originale - tutti i suggerimenti di imponenza pompiér che sono all'interno del libretto. Teniamo conto infatti che la versione originale de La Bayadère prevedeva, nel gran corteo che apre il secondo atto, qualcosa come duecento personaggi tra danzatori e figuranti (e persino un elefante in scena),  mettendo in campo forze artistiche e trovate sceniche ormai non più proponibili ad un pubblico moderno. Incamminatosi su questa linea, Edur ha ideato per l'Estonian National Ballet - di cui è direttore artistico dal 2009 - un allestimento che riprende sì le geniali invenzioni di Petipa, ma senza farsene prigioniero, sacrificandone anzi qualche frangia marginale al fine di ottenere uno spettacolo variegato scenicamente, ma narrativamente snello e dall'andamento ritmico ottimale. Indovinato, per esempio, l'inserimento della scena del matrimonio “all'indiana” con l'annodarsi dei foulards nuziali, un tema che poi percorre tutto il balletto a simboleggiare il vincolo dell'amore che lega il nobile guerriero Salor e la baiadera Nikiya. Assecondando questa sua visione, anche le suggestive scenografie ed i coloriti costumi di Peter Docherty trovano modo di esprimersi con un tocco di esotismo fiabesco, senza per questo scendere nel puro descrittivismo orientaleggiante. 

In queste affollate recite veneziane abbiamo scoperto una compagnia di buon livello generale e molto affiatata qual'è quella del Teatro Nazionale di Tallin – compagine ormai storica, fondata nel 1926 da Rahel Olbrei e dotata di una propria scuola di balletto – in grado di esibire vere punte di eccellenza nelle sue étoiles: come Nanae Muruyama (Nikyia), Luana Georg (Gamzatti), Jonathan Davidsson (Solor), l'Idolo d'oro (Evgeny Dokoukine), peraltro interscambiabili con altri solisti di rango del calibro di Ekaterina Oleynik, Alena Shkatula, Denis Klimuk o Sergei Upkin. Plaudendo la buona esecuzione dei passi solistici, un punto di merito, per precisione ed eleganza,  va pure all'esecuzione dei teneri arabeschi de Il regno delle ombre, cartina di tornasole della buona preparazione d'insieme di un corpo di ballo. Anche le giovanissime leve impegnate nei momenti d'insieme fanno intravedere la cura con cui si allevano i futuri professionisti.

Eleganza e duttilità nella lettura delle musiche di Minkus - alquanto convenzionali e melodrammatiche, ma perfettamente funzionali allo scopo - da parte del maestro Risto Joost, salito sul podio a guidare con polso sicuro l'Orchestra della Fenice.
Ricordiamo che La Bayadère si poteva godere per la prima volta nella sua interezza nella sala della Fenice, essendovi stato rappresentato nel 1966 e nel 1980, in entrambi i casi dai complessi artistici del Teatro Kirov, solamente l'Atto delle Ombre.

(foto di Michele Crosera)

Visto il 15-12-2015