Prosa
LA DIVA

Julia, l'ultima diva

Julia, l'ultima diva

Tratto dal romanzo “La diva Julia” di William Somerset, “La diva” che ha debuttato in questi giorni al Teatro Sala Fontana con la regia di Laura Sicignano, autrice anche della riduzione drammaturgica, è un’intrigante e per molti aspetti realistico spaccato del mondo del teatro d’inizio novecento… ma non solo.
Julia Lambert, interpretata da  Elisabetta Pozzi, è nel suo camerino insieme alla cameriera, prima di una recita di Fedra di Racine, testo che è arrivata al punto di detestare  ed è stufa di interpretare e, partendo da questo suo disagio, inizia una rievocazione della sua vita teatrale e personale.
Protagonisti di questa lunga carrellata sono i quattro uomini che hanno segnato la sua esistenza: il marito, attore mediocre ma eccellente impresario che, svanita rapidamente la passione dopo la luna di miele, pensa a come riciclare sulla scena i gesti d’affetto che la moglie gli rivolge; il giovane amante che la illude mentre in realtà la sta solo usando per farsi strada nell’upper class londinese; l’amico fedele che dopo averla corteggiata per un ventennio la respinge nel momento in cui lei finalmente si concede; il figlio che, all’apparenza distratto e assente, sarà colui che alla fine le rivolgerà le critiche più dure.
Julia è un caleidoscopio di emozioni, spesso contrastanti, che si susseguono vorticosamente, a volte in modo quasi imprevedibile. Vuole essere tutto, sia nella vita che sulla scena, ma il rischio è che alla fine di tutto questo non resti più niente, solo un guscio vuoto, come le rinfaccia il figlio in uno dei momenti più toccanti dello spettacolo.
Tutto il testo è infatti giocato sul filo dell’ambiguità tra realtà e recitazione. Julia, anche nei momenti in cui sembra emotivamente più coinvolta, non dimentica mai di essere una grande attrice e non rinuncia all’occasione di sdrammatizzarli rivolgendosi al pubblico per sottolinearne  la teatralità. Ambiguità rimarcata anche dalla figura della cameriera, interpretata dalla brava Sara Cianfriglia che, come in un testo di Thomas Bernhard è costantemente in scena, complice-spettatrice muta del lungo monologo della sua padrona. Alla fine però viene da chiedersi se questa figura esista veramente o non si tratti solo della coscienza dell’attrice, di un suo alter ego al quale si rivolge in un tentativo di confronto.
Anche il finale resta un punto interrogativo: la passerella in abito lungo sino al proscenio segna il suo riscatto e l’ennesima consacrazione da parte del pubblico o è solo un’illusione come il ciak finale di Norma Desmond in Viale del tramonto?
Magnetica e sempre coinvolgente l’interpretazione di Elisabetta Pozzi che può permettersi di sfoggiare una tavolozza di emozioni così ampia e ricca di sfumature che le consente di  stemprare  con l’ironia i momenti drammatici e di commuovere in quelli brillanti.
Una grande prova d’attrice in uno spettacolo in cui si ride e ci si emoziona, del quale mi piace sottolineare una piccola nota di colore: mi ha divertito sentire Julia che all’inizio, quasi per scherzo, si immagina come interprete del ruolo di Amleto, e ricordare che Elisabetta quei panni li ha realmente vestiti in un memorabile allestimento al Teatro Farnese.

 

Visto il 07-11-2014
al Fontana di Milano (MI)