Musical e varietà
LA DIVINA COMMEDIA L'OPERA - SECONDO ALLESTIMENTO

Quando Dante si fa Opera G…

Quando Dante si fa Opera

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Quando Dante si fa Opera Grandi nomi dello spettacolo, giovani artisti ben preparati, l'esperienza e la sensibilità musicale di Marco Frisina: queste le carte giocate per la messinscena del più sconvolgente viaggio che la storia della letteratura conosca. La Comedia diviene imponente allestimento musicale molto vicino all'opera lirica, nel tentativo ambizioso di rendere omaggio e dare forma alle infinite suggestioni presenti nel capolavoro dantesco. Prodotto da Nova Ars e presentato nel 2007 in una tensostruttura appositamente realizzata, La Divina Commedia – L’Opera viene adesso proposta in una nuova veste concepita per l'esterno: imponenti immagini proiettate sulla facciata di S. Croce a Firenze, prestigiosa scenografia naturale di un palco spoglio con pedane oblique semoventi. Con un forte richiamo alle note illustrazioni di Gustave Doré, l’elegante facciata vede animarsi di elementi oscuri o luminosi, in linea con lo svolgimento della vicenda; seppur suggestiva, tale significativa cornice naturale tende a predominare sul fulcro dell'azione, inghiottendo parole e gesti con la propria imponenza. Con chiarezza e notevole efficacia sintetica, in poco più di due ore vengono raccontati alcuni tra gli episodi fondamentali del viaggio di Dante (interpretato da Andrea Colloredo), dalla dannazione infernale alla luce eterna del Paradiso, passando per la penitente e fiduciosa espiazione del Purgatorio. Canzoni leggere si alternano ad arie, vera e propria messa in musica dei versi danteschi, mentre energici concertati sanciscono la conclusione degli atti. Frisina concepisce differenti generi, in accordo con i personaggi: blues, rock, suoni contemporanei per la prima cantica, gregoriano e toni più lirici nel seguito. Al di là del forte impatto conferito dagli effetti speciali, l’Inferno rappresentato è conciliante, privo di quei terrificanti elementi che sconvolgono il protagonista: romantica, quasi sdolcinata, Francesca Da Rimini (Manuela Zanier) racconta la propria vicenda dimentica della bruciante passione che l’ha portata alla rovina; l’intensa e straziante interpretazione di Giorgio Adamo, nei panni di Pier Delle Vigne, è come filtrata da una fredda proiezione; la storia di Ulisse (Alberto Lupo Janelli) è narrata con una recitazione compassata. Solo con Ugolino (Vittorio Bari), magra figura imbrattata di sangue, e con Lucifero (il cui volto è disegnato dal Premio Oscar Carlo Rambaldi) la messinscena raggiunge toni inquietanti, anche se non propriamente terribili. Firmate da Francesca Di Maio, le coreografie risultano poco coraggiose, con linee armoniche ed eleganti che non si addicono all’infinito strazio dei dannati; un corpo di ballo non particolarmente significativo, che avrebbe potuto sostituire con più efficacia alcune immagini proiettate, come quelle degli uomini/arbusti continuamente tormentati dalle arpie. Non convince la scelta di rendere presente Beatrice (Mariangela Aruanno) fin dall’inizio, seppur velata in viso: oltre a smorzare la tensione drammatica, tale lettura risulta concettualmente errata, non potendo essere che paradisiaca la collocazione della donna. L’atto si conclude con A riveder le stelle, concertato eseguito dai dannati; seppur d’effetto, questa soluzione corale stona con l’estrema solitudine a cui ogni personaggio è destinato. Un Inferno di compromesso, fatto per colpire senza esagerare. Gli autori sono di certo a proprio agio nel secondo atto, in quella dimensione spirituale di preghiera penitente prima e gloriosa poi: i solenni canti gregoriani, le melodiose voci femminili e la ieraticità degli interpreti ricreano con efficacia il luminoso stato di grazia di chi vive nell’amore. La musica assume toni ancora più operistici e davvero si sente la mancanza di orchestra e coro dal vivo, come nel teatro melodrammatico vero e proprio. Si rimane perplessi di fronte alla non-reazione di Dante nel saluto a Virgilio (Alessandro Castriota Scanderbeg): mentre il dolcissimo padre canta il proprio addio, il protagonista resta di spalle, già proiettato verso il Paradiso e incurante del distacco. Gli interpreti colpiscono per la perfetta esecuzione canora, la notevole presenza scenica e la capacità di gestire ruoli tanto diversi, essendo molti di loro impegnati almeno in una doppia parte. Non conosciamo la prima versione romana, ma si ha la sensazione che gli interni di un teatro e un impianto scenografico più avvolgente possano giovare all’allestimento, penalizzato dalle mille distrazioni inevitabilmente presenti in una piazza. Uno spettacolo di per sé godibile e affascinante, tuttavia ben lontano da quel pugno allo stomaco che riceviamo accostandoci alla lettura di Dante; se è vero che messinscena e testo sono distinte e differenti, questa operazione avrebbe comunque richiesto un'espressività artistica più coraggiosa, senza paura di risultare scioccante. Spettacolo visto il 4 luglio 2009, in Piazza Santa Croce a Firenze
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al Team di Bari (BA)