LA DONNA CHE LEGGE

"La donna che legge": vita che non è letteratura

"La donna che legge": vita che non è letteratura

Renato Gabrielli: il drammaturgo che ormai in Italia fa scuola (insegnante alla Scuola d’Arte Drammatica “Paolo Grassi” di Milano) mette la firma anche su questo testo: La donna che legge, che torna al Teatro dei Filodrammatici di Milano dopo il debutto dell’anno scorso al Teatro Out Off, che ne ha curato la produzione e ha affidato la regia a Lorenzo Loris.

Gabrielli realizza un testo interessante, dai contorni “sfumati” in due sensi: si oscilla tra un andamento dialogico e uno narrativo-descrittivo, che vivono l’uno nell’altro senza mai definire nettamente i propri confini; inoltre le vicende che compongono la vita dei personaggi fuori dalla scena non vengono mai nettamente dichiarate, cosa che dà ai tre protagonisti un tocco realistico- li incontriamo e li conosciamo come e quanto si conosce una persona reale.

Il tema è la contemporaneità, ma si parte da spunti della grande letteratura: Ulysses di James Joyce è la fonte dichiarata da cui scaturisce la prima scena, che in effetti si connota con caratteristiche che la distinguono dal resto del testo. Accade che Giada, la donna che legge, incontra Federica, di professione avvocato. Grazie a un artificio narrativo, tra le due donne si impone, ingombrante, la presenza di Mirco: ex-avvocato, ex-poeta, ex-amante di Federica; vuole che nei giorni successivi Giada torni a leggere come quel giorno in cui l’aveva vista là, sul patino, con quella semplice vestaglia. È disposto a pagare, i soldi non sono la cosa importante. Pagare tanto. E il sogno di Giada ha bisogno di soldi per essere realizzato. Deve essere realizzato in fretta, prima che qualcuno riesca a incastrarla e a chiuderla in una casa, facendo di lei una buona madre di famiglia.

Stupisce, questa scena. Prende direzioni impreviste e descrive personaggi che suscitano interesse, soprattutto perché posti in una relazione così incomprensibilmente intima. Dopo queste premesse, dalla seconda scena in poi si cambia gradualmente tono: i tre protagonisti cominciano a muoversi sempre più prevedibilmente e, pian piano, le scene cariche di suggestioni e silenzi allusivi lasciano il posto a una fabula costruita da episodi già visti: il triangolo amoroso, il “vecchio arrapato” pieno di soldi che cerca di soddisfare le sue voglie con l’ultima fiamma della sua vita e la ragazza che si ribella al posto che “l’Italia” le assegna. Non che la trama sia banale, anzi: è decisamente interessante come questi tre personaggi, così vivi, conducano a toccare temi quali il contrasto generazionale, la lotta fra sessi, la malattia e altro. È un peccato che alcune dinamiche finiscano per essere date per scontate, facendo così calare l’interesse.

Per rimediare a ciò ci si può rimettere alla recitazione dei tre interpreti: Cinzia Spanò, che riassume perfettamente la freddezza dell’avvocato e la dolcezza di donna innamorata e di madre; Alessia Giangiuliani, la ragazza idealista e ribelle, che scivola nel tranello del potere dei soldi; e infine, Massimiliano Speziani, corpo e voce perfettamente accordati, suona la storia di un uomo che va verso la fine dei suoi giorni con il sogno ancora giovane e un po' poetico di catturare la bellezza per l’ultima volta.

Dove nel testo un meccanismo vorrebbe prendere il posto della vita, regista e attori fanno sì che nulla sia superfluo; e lo fanno non cercando la bellezza di una forma, ma partorendo nuova vita in quel prolifico modo di dialogare, che sfrutta come fondamenta tutte le esigenze più concrete della statura umana.

Visto il 15-02-2017
al Filodrammatici di Milano (MI)