Lirica
LA DONNA DEL LAGO

L'incanto delle voci

L'incanto delle voci

“Definita melodramma serio, la Donna del lago finisce nella stessa fiabesca felicità di Cenerentola e di tanto scende nella severità tragica quanto Cenerentola si innalza sull'allegria dell'opera buffa: entrambe le opere convergono, dai loro generi antitetici, verso un clima intermedio che è quello della verità poetica di Rossini, del suo epicureismo indulgente e del suo lassismo morale che era il clima della sua sospirata Belle époque, il clima della società italiana prerisorgimentale, una verità poetica così diversa dalla programmatica malinconia di Bellini e Donizetti e dal virile pessimismo verdiano”. Così Massimo Mila evidenzia l'essenza della partitura, colta bene dalla direzione di Roberto Abbado ma che ha lasciato nello scetticismo il regista Lluís Pasqual, come dichiarato nelle note di regia pubblicate nel programma di sala: “il Rossini “serio” ci sfugge sempre di più, se si tenta di restare attaccati al libretto”. Idea che si riflette nella messa in scena.

Ezio Frigerio ha immaginato un teatro neoclassico, alte semicolonne doriche svettano da un basamento di pietra e intervallano palchi con balaustre a colonnine. Un teatro emiciclico che racchiude uno spazio centrale di scale a specchio e che si apre come i due battenti di un cancello per rendere visibile il fondale (muri di mattoni in rovina, un laghetto placido in mezzo a rocce strapiombanti, uno specchio). La scena pare suggerire un teatro abbandonato o irreale: impalcature si vedono oltre le arcate dei palchi e i lampadari di cristallo che scendono a momenti amplificano lo straniamento. Il senso del teatro nel teatro è aumentato dai costumi di Franca Squarciapino, che riservano al coro eleganti abiti contemporanei (uomini in frac e donne in lungo) e ai protagonisti sontuosi vestiti in stoffe operate dorate ai limiti del kitsch con corazze di maglia tintinnante per i guerrieri. Inspiegabilmente Malcom e Doglas hanno nel finale il frac con sopra il mantello dorato rinascimentale. Perfette le luci di Marco Filibeck.
Il muoversi sul palco evoca l'idea di fantasmi oppure protagonisti di una narrazione non reale, la gestualità di maniera e contenuta non aiuta nella comprensione dei sentimenti vissuti. Lluís Pasqual sembra davvero non credere in questo dramma e orientarsi verso la non-delineazione dei personaggi. Sfugge soprattutto il senso del romantico del dramma, quell'intreccio di amore e intrigo politico inserito nel contesto ambientale che è il carattere invece dominante. Rispetto al debutto di Parigi dell'anno scorso, le cui foto sono nel programma di sala, ci sono evidenti differenze, per cui lo spettacolo è stato sistemato nella ripresa, registicamente curata da Leo Castaldi.

Roberto Abbado interpreta in modo giusto la partitura, presentando gli elementi romantici che innegabilmente ci sono (le suggestioni ambientali e i loro riverberi nell'animo umano) in un contesto che sia di sostegno all'incanto delle melodie vocali che qui raggiungono un vertice. L'opera si apre con le evocazioni lacustri e boschive, con una nebbiosità aurorale che via via lascia solo un'eco negli arabeschi canori: un colore dominante scuro ma non luttuoso che non copre ma esalta i chiari e limpidi dettagli. Abbado mantiene tempi serrati e, se in alcuni momenti indugia allargando, ciò è solo per l'agio dei cantanti: infatti è ottimo il raccordo tra buca e palco e il risultato raffinato e luminoso che non trascura la complessità della partitura.

Un'opera come La donna del lago può essere messa in scena in modo convincente solo se si ha un cast stellare, come in questo caso, dove i quattro protagonisti sono il meglio possibile.
Joyce Didonato è un'impeccabile Elena, la voce ha trasparenze madreperlacee in “Oh mattutini albori” e tratteggia un personaggio della levigata, marmorea sensualità che non la esime da afflati sentimentali, come la modella in “Invocazione” di Frederic Lord Leighton; gli acuti sono solidissimi, le note di passaggio a fuoco, le colorature nitide: il soprano sfoggia prodigio timbrico, perfezione tecnica, sentimento profuso. Daniela Barcellona, nonostante un'annunciata indisposizione, conquista il favore del pubblico e convince nel ruolo di Malcom con una linea di canto sorvegliata e un'espressività che rende appieno il personaggio di un guerriero interiorizzato più degli altri: vengono così prepotentemente sottolineate le curvature della malinconia e di quell'estasi d'amore che comporta un soffrire irreparabile quando si teme che venga a mancare l'oggetto del sentimento; la Barcellona canta amore e solitudine con vellutati accenti scuri che si venano di sottile ambiguità e non vacilla nella coloratura; la cantante predilige con tutta evidenza nell'interpretazione i toni sentimentali a quelli volitivi e “Mura felici ove il mio ben s'aggira” porta a un'esplosione di applausi entusiastici da parte del pubblico. Juan Diego Flórez affronta con generosità Giacomo V, arrivando sempre agli acuti estremi senza mai forzare, anzi tornendoli con dolcezza come in “Oh fiamma soave” che apre il secondo atto; cura il fraseggio in modo eccellente e scolpisce ogni nota, improntando di emozionante dolcezza i duetti con Elena e risultando determinante nel terzetto con Elena e Rodrigo. John Osborn è uno stupefacente Rodrigo: incredibili i frequenti passaggi dalla tessitura prevalentemente centrale alle zone acutissime; la voce è di timbro assai bello, in questo caso accentuata dalle ombreggiature scure; in “Ma dov'è colei che accende” il tenore riesce a rendere la dolcezza dell'intonazione come una parentesi al precedente momento virile; le improvvise, fulminee incursioni in zona sovracuta del terzetto non minano la lucentezza del timbro e Osborn vince la sfida con le vertiginose colorature di una delle parti più ardimentose e temibili che Rossini abbia mai scritto.
Accanto a loro non sfigurano il Duglas di Simon Orfila e la Albina di José Maria Lo Monaco. Completano il cast Jaeheui Kwon (Serano) e Jihan Shin (Bertram). Perfetto il coro preparato da Bruno Casoni, pur nella fatica di rendere il contesto nell'anonimato degli abiti e nella staticità della presenza scenica.

Teatro esaurito, ripetute valanghe di applausi a scena aperta e un tifo da stadio nel finale per una rappresentazione epocale dal punto di vista vocale. Merito a Stéphane Lissner, anche di aver riportato sul palco scaligero La donna del lago: dopo il 1838 l'opera è andata in scena a Milano una sola volta nell'estate 1992.

Visto il
al Teatro Alla Scala di Milano (MI)