In occasione del centenario della morte di Henrik Ibsen , è andato in scena al Teatro Mercadante di Napoli “La donna del mare”, una delle produzioni ibseniane più note ed eccentriche.
La storia, probabilmente scritta da Ibsen durante il soggiorno nella cittadina norvegese di Molde,
si fonda su due antiche leggende del luogo: la prima racconta di un immigrato finlandese che grazie alla forza magnetica dei suoi occhi riesce a rubare la moglie al prete del paese in cui vive, la seconda narra invece di un marinaio che era stato così a lungo lontano da casa che tutti lo ritenevano morto, ma improvvisamente il marinaio riappare e scopre che la moglie in sua assenza si era sposata con un altro.
Protagonista indiscusso del dramma è il mare “Il potere di attrazione del mare. L’anelito verso il mare. Gli esseri umani imparentati col mare. Legati al mare. Dipendenti dal mare a cui devono ritornare. Una varietà di pesce crea il segmento primario di una catena evolutiva. Questi rudimenti risiedono ancora nella mente umana? In quella di singoli? Immagini della vita che sguazza nel mare e di quanto è andato perduto in eterno” ( H. Ibsen )
L’ intera rappresentazione si fonda sulla ricerca di un’identità perduta, sulla dicotomia tra la vita reale in cui la protagonista si sente imprigionata e il sogno, o meglio, l’utopia di un ritorno ad una vita simbiotica col mare e con un uomo che giunge dal mare.
La libertà , così tanto temuta e nel contempo cercata da Ellide ma anche da anche dagli altri protagonisti come Bolette, rappresenta un po’ la chiave interpretativa che permette di comprendere questi uomini e queste donne oscillanti tra l’ inquietudine e il desiderio di una vita “normale”.
Gli attori, la cui bravura è indiscussa, hanno adottato uno stile recitativo in alcuni punti “mono-tono”, unitamente ad atteggiamenti talvolta eccessivamente plastici e ridondanti.
Il ritmo, piuttosto sostenuto per l’intera durata dello spettacolo, è stato tuttavia spezzato e rallentato da alcune scene troppo prolisse, come il dialogo tra Bolette e il professor Arnholm.
Nonostante questi aspetti negativi, bisogna riconoscere al regista Mauro Avogadro di aver affrontato un testo la cui rappresentazione, nel corso degli anni, si è più volte rivelata un totale fallimento e di averlo fatto in maniera innovativa cercando di cogliere il senso di inquietudine e conflittualità che accomuna tutti i personaggi, e nel contempo la loro unicità.
Napoli, Teatro Mercadante , 12-01-2006
Visto il
al
Argentina
di Roma
(RM)