Proporre in teatro Goldoni è un po' "vincere facile". La rappresentazione delle opere del celebre commediografo veneziano da sempre grandi soddisfazioni, sia a regista e interpreti sia al pubblico, difficilmente scontento una volta terminata la recita. Un successo quasi prevedibile, se si pensa alla sola trama, fatta di intrecci e siparetti che una risata la strappano quasi sempre. Non altrettanto scontato, se non si sceglie un cast all'altezza di reggere il gioco di ruoli abilmente costruito nel canovaccio.
"La donna di garbo" messa in scena da Emanuele Barresi rappresenta un tentativo riuscito in tale senso. Il regista offre una lettura moderna dell'opera, la prima interamente scritta dallo stesso Goldoni, senza però apportare cambiamenti tali da stravolgere la struttura originale della commedia. La scelta di snellire il testo, privandolo di quelle lungaggini facilmente riscontrabili in un'opera datata fine '700, risulta vincente, perchè favorisce una maggior comprensione da parte del pubblico, consentendo di cogliere appieno l'ironia e facilitando il passaggio da una scena all'altra.
Anche il cast guidato dalla brava Debora Caprioglio, una vivace e fumantina ragazzetta, a servizio del padre del suo quasi marito, risulta ben assortito e capace di riportare sul palcoscenico i propri personaggi in modo divertente, senza esagerazioni di sorta, mettendo in scena vizi (molti) e virtù (un po' meno). Oltre alla protagonista, che svetta sulle altre interpreti fondamentalmente per via dello spazio riservatole nella piéce, due personaggi maschili sono meritevoli di attenzione: nei panni del padrone di casa, nonchè padre del fedifrago Florindo, troviamo Antonio Salines, che da voce ad un anzianotto avvocato riportato alla vita dalle emozioni che la bella e insolitamente erudita cameriera gli suscita. Accanto allo spassoso vedovo che, più che bonario, appare galvanizzato dalla prospettiva di un nuovo matrimonio, esilarante è poi l'interpretazione dello stesso Barresi che, oltre alla regia, ricopre un piccolo ruolo, quello del cicisbeo Lelio, una tipica macchietta da commedia dell'arte, buffa tanto da rasentare il ridicolo.
Una commedia di carattere, in cui 'garbo' non fa rima con 'ipocrisia' ma che, in modo brillante e scanzonato, partendo dal ritratto di una donna scaltra, indipendente e intaprendente, si burla di una certa umanità chiusa nelle proprie convinzioni e convenzioni.