Classica
LA DONNA E IL POTERE

Macerata, teatro Lauro Rossi,…

Macerata, teatro Lauro Rossi,…
Macerata, teatro Lauro Rossi, “La donna e il potere” QUELLO CHE LE DONNE (DI POTERE) NON DICONO Non poteva mancare allo Sferisterio Opera Festival una grande attrice di teatro come Anna Proclemer, di recente imprestata alla lirica con un successo strepitoso, raccolto alla Scala nel ruolo della duchessa di Crakentorp in “La fille du régiment” di Donizetti, per lei appositamente ampliato dal regista Filippo Crivelli. Il recital della Proclemer, centrato sulle figure femminili in vari modi collegate al potere (i testi sono stati ricercati da Antonia Brancati), ha confermato, semmai ce n'era bisogno, lo smisurato talento dell'attrice e la grande ironia della donna. Sul palco una sbarra con su stole di stoffa, boa di struzzo, lunghi colli di pelliccia, un trono viola con un drappo rosso appoggiato con apparente ma calcolata casualità (la mano riconoscibilissima di Pizzi), un leggìo e un cubo nero di legno con una caraffa d'acqua e un bicchiere. È lungo l'applauso che la accoglie all'ingresso, lei commenta “ho udito il vostro applauso e sento il vostro affetto, che è importante per una Regina”. Le parole sono imprestate dal cosiddetto “Golden speech” di Elisabetta I, a cui seguono le parole che Schiller scrive per la stessa, un passo che rivela con accenti sinceri ciò che uomini e donne di potere pensano crudelmente del popolo. Un salto indietro nel tempo ed ecco “colei che scioglie gli eserciti”, Lisistrata, ritratta da Aristofane durante la guerra del Peloponneso, con l'eroina intenta a fomentare uno sciopero del sesso per ricattare i mariti che debbono por fine alla guerra, uomini che però non riconoscono a Lisistrata i suoi meriti politici; il passo è molto divertente: “ care amiche, ci dobbiamo astenere dall'uccello”. Dopo un momento leggero, un altro di enorme spessore, il più alto del recital: la figura lontana e inarrivabile di Eleonora d'Aquitania, nelle parole inedite della contemporanea Ruth Wolff. Premetto che per me Eleonora è una figura indimenticabile per la inarrivabile interpretazione che di lei ha dato sullo schermo la mia attrice preferita, Katherine Hepburn, che per questo ruolo ne “Il leone in inverno” vinse uno dei suoi quattro premi Oscar. Eleonora (moglie prima di Luigi VII di Francia poi di Enrico II di Inghilterra, madre di Riccardo Cuor di Leone e di Giovanni Senza Terra) si chiede se potere e femminilità sono compatibili, fino a che punto una donna di potere deve rinunciare al proprio ruolo biologico: “pensavo che il cuore di una Regina fosse in grado di sopportare ogni cosa e invece scopro che sono solo una donna”. Quindi un aggancio con la stagione allo Sferisterio, Lady Macbeth, nel libretto di Francesco Maria Piave e nelle parole di Shakespeare, tradotto da Salvatore Quasimodo (prima declama con molto trasporto l'originale inglese a memoria e poi la traduzione). La Proclemer si siede sul trono, una vera dark lady medioevale, e sottolinea, utilmente e didascalicamente, come la traduzione sia calzante, dove l'allitterazione di “s” è stata resa in italiano con una allitterazione di “f”. Ancora un passo indietro nel tempo, ancora una grande traduzione, il lamento di Ecuba dalle Troiane di Euripide nella versione italiana di Edoardo Sanguineti. Ecuba è una regina che ha perso tutto, la terra, il trono, il potere, il marito e i figli: ora che Ilio è caduta, Ecuba aspetta presso la tenda di Agamennone di essere portata schiava nella nemica Grecia e ricorda Polissena, Cassandra e gli altri, con un dolore che non ha eguali, pur nella grande dignità. E non ha eguali l'interpretazione luttuosa della Proclemer, accompagnata da un silenzio totale, quasi religioso, e sottolineata da un applauso scrosciante. Eva Duarte, celebrità oggi multimediale ma prima celebrità per la sua attività assistenziale a favore dei ceti più poveri, viene evocata con le parole sboccate di Copi, una Evita in fin di vita per un cancro ma furibonda, che definisce il marito Peròn “un frocio” e che intercala la fiumana di parole con “merdaccia”. La Proclemer presenta con molta chiarezza le figure di cui si occupa, consentendo al pubblico di collocare con precisione le figure storiche. In questo caso i tratti storici, narrati sempre con innata ironia (“Peròn era stato in Italia dal 1938 al 1940 per studiare il fascismo e Mussolini, ma non aveva niente di meglio da fare?!”) si mischiano ai ricordi personali, con lei giovane Gonerilla in Argentina nel 1955 in una produzione di Re Lear con i costumi di un giovanissimo Pizzi. Via il boa di struzzo, due passi accennati di danza classica alla sbarra, una pelliccia bianca al collo ed ecco l'icona del potere del sesso, Marilyn Monroe, fragile, tenera, la creatura che più di tutte incarna la personificazione della voglia di essere accettati solo per quello che si è, oltre l'immaginario collettivo, un'anima che ha vissuto nella solitudine e nell'incomprensione totali. La Regina Vittoria appare nelle divertenti (quasi irrispettose) parole di Aldo Palazzaschi, che ben descrive l'iniziale disappunto dei fiorentini davanti all'aspetto fisico della donna più potente del mondo, che eccedeva nel bere (la chiamavano benevolmente “la schiccherona”). E il finale è per la Regina più grande, la Regina del Cielo, nella preghiera di San Bernardo alla Vergine Maria dal Paradiso di Dante, recitata a memoria. È superfluo dire della capacità camaleontica della Proclemer di passare da un ruolo all'altro semplicemente con il tono della voce, con l'atteggiamento e con una stola sulla spalla: bastano i cinque minuti di applausi alla fine con tutto il pubblico in piedi. Peccato per quel microfono (inutile nello spazio del teatro Lauro Rossi) che spesso gracchiava e rendeva la voce a tratti metallica. Visto a Macerata, teatro Lauro Rossi, il 28 luglio 2007 FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Lauro Rossi di Macerata (MC)