La donna serpente di Alfredo Casella, tratta dall’omonima fiaba di Carlo Gozzi, è un’opera straordinaria, non solo perché racchiude in sé tutti i fermenti di un’epoca che assiste alla crisi dei valori dell’individualismo borghese, crisi che dietro sé lascia da un lato uno strascico di senso di vuoto e dall’altro un forte desiderio di evasione e disimpegno, ma anche perché risente molto di quella formazione internazionale che ebbe fin da giovane il proprio autore, il quale cerca in questo suo lavoro proprio un equilibrio possibile fra vitalità, inquietudine, allegria e senso del metafisico.
La trama, in estrema sintesi, è presto detta: la fata Miranda, figlia del re Demogorgòn, vuole sposare il mortale Altidòr contro il parere paterno. Il genitore dunque pone come condizione che ella stia per nove anni e un giorno con lo sposo e poi lo sottoponga a prove durissime così da sperimentare se egli persevererà nel mantenere fede al giuramento. Tali prove metteranno ovviamente in crisi il malcapitato che dapprima resisterà, poi finirà per maledire la sposa che, a questo punto, come decretato da Demogorgòn, finirà per essere tramutata in serpente. Il lieto fine è però d’obbligo, Altidòr, scoperta la verità, cercherà Miranda all’infinito finché, grazie al suo coraggio la moglie gli verrà alla fine restituita insieme coi figli avuti da lei. La trama è ovviamente intessuta di intrighi, magici sortilegi, guerre sanguinose, prove iniziatiche che accrescono l’elemento fiabesco e dinamico, ma talvolta anche confondono e mostrano tutta l’effettiva debolezza del libretto.
L’allestimento pensato da Arturo Cirillo, affiancato da Dario Gessati che si è occupato delle scene, è di grande efficacia e punta giustamente tutto sull’astrazione e sul quel non tempo e non luogo tipico delle fiabe, avvalendosi di una serie di grandi blocchi geometrici mobili, dal colore cangiante a seconda della luce che vi viene proiettata, i quali ricreano di volta in volta spazi sempre nuovi ma sempre pervasi da un’atmosfera onirico-simbolica. Splendidi i coloratissimi costumi di Gianluca Falaschi di foggia vagamente orientaleggiante, anch’essi però di fatto atemporali e aspaziali, quasi appartenenti al mondo di una fantasia infantile.
Straordinaria la direzione di Gianandrea Noseda che ha saputo dare una interpretazione preziosa e ricca di energia di una partitura difficilissima che non ha punti di riferimento chiari e assodati né fra gli antecedenti né fra i successori, una intelaiatura musicale che tende a prevalere sull’azione. La sua bacchetta è alacre, incalzante, in grado di piegare le irrefrenabili esigenze di dinamicità di uno spartito del quale egli non dà mai una lettura scontata, sottolineandone l’ecletticità e, al contempo, il rigore di fondo.
Stellare il cast: Carmela Remigio è una Miranda straordinaria, dolce ma non priva di impeto; il suono è rotondo, il timbro piacevolmente morbido, la cura per la parola precisa e puntuale, l’emissione controllatissima, il tutto all’interno di una lettura del personaggio profonda che evidenzia grande intelligenza interpretativa. Ottimo anche Pietro Pretti che riesce a infondere virile baldanza alla figura di Altidòr senza indulgere troppo in quelle dolenze o lagnanze verso cui il libretto potrebbe indirizzare; la voce è piena, squillante, duttile; la linea di canto solida e sicura. Efficacissimo quanto perfettamente in parte il quartetto delle maschere che vede Roberto De Candia vestire i panni di Pantul, Fabrizio Paesano quelli di Tartagil, Marco Filippo Romano quelli di Albrigor e Francesco Marsiglia quelli di Alditruf. Precisissime e dalla voce cristallina la Armilla di Erika Grimaldi e la Sarzana di Francesca Sassu. Con loro: Sebastian Catana (Demogorgòn), Anna Maria Chiuri (Canzade), Donato Di Gioia (Badur), Emilio Marcucci (primo messo), Fabrizio Beggi (Tògrul) e Kate Fruchterman (Fatina Smeraldina).
La rappresentazione de La donna serpente rientra all’interno del Festival Casella un progetto organizzato dal Teatro Regio che dall’11 al 24 aprile prevede ben quindici appuntamenti, tra opere, concerti, balletti, convegni, incontri e mostre per far luce sull’opera e la vita del compositore torinese.