Prosa
LA DONNA VENDICATIVA

Non sono nemmeno cento anni c…

Non sono nemmeno cento anni c…
Non sono nemmeno cento anni che esiste il cosiddetto “teatro di regia”, e già nel corso della sua vita ci sono state evoluzioni enormi. Purtroppo, però, se da un lato la resa visiva, la spettacolarità, e la possibilità di esprimere al meglio i sottotesti di un copione si sono moltiplicati, dall’altro abbiamo assistito, soprattutto negli ultimi decenni, ad un decadimento piuttosto netto della figura dell’attore. Non parliamo naturalmente solo della potenza espressiva, ma anche e soprattutto della pura tecnica, che gli interpreti del passato, fino alla generazione degli attuali sessantenni, curavano con grande attenzione, quell’attenzione che è dovuta nei confronti del proprio patrimonio professionale. In tempi di minimalismo espressivo e vocale, mutuato da una recitazione puramente cinematografica, o piuttosto da una scadente improvvisazione professionale, non ci meravigliamo nemmeno più, ad esempio, che negli spettacoli teatrali si faccia sempre più spesso ricorso ad un fino a pochi anni fa inconcepibile uso indiscriminato del microfono in scena. Per fortuna, con il piglio del filologo che gli è proprio, il Maestro Roberto De Simone, con “LA DONNA VENDICATIVA” di Carlo Goldoni, da lui trasferita negli anni ’20 del novecento, ha trovato una strada che mette insieme tradizione attoriale ed innovazione registica. Infatti finalmente in scena è una compagnia composta da tutti “veri” attori, e questa già è una novità, che usano la voce come uno strumento, non balbettano, non sussurrano, non urlano, insomma: recitano. Fra tutti spicca naturalmente una straordinaria Maddalena Crippa, che veste gli abiti sexi di una Corallina impeccabile, perfida quanto tenera, nel suo sgomitare per avere giustizia, non a caso paragonata nelle note del regista alla Jenny delle Spelonche della brechtiana “OPERA DA TRE SOLDI”, e con lei tutti gli altri personaggi, grazie agli splendidi costumi di Odette Nicoletti, sembrano usciti dalle pagine dello scrittore tedesco, piuttosto che da quelle del Veneziano autore della “LOCANDIERA”. Così potremmo paragonare il gaglioffo Florindo interpretato dal bravo Luciano Roman, ad un Mackie Messer ante litteram, diviso com’è tra le due donne, la puttana Corallina/Jenny e la finta ingenua fidanzatina Rosaura/Polly, quest’ultima col volto, le movenze e la bellissima voce di Renata Fusco. Cosimo Cinieri tratteggia, da quel grande professionista che è, un Ottavio da manuale, capriccioso come un bambino, che però riesce a portare all’agnizione finale con lucida determinazione. Un’operazione coraggiosissima, quella di mettere in scena un Goldoni quasi sconosciuto, qui rappresentato al pari di una partitura musicale, e che con le musiche di Pergolesi e Vivaldi suonate dal vivo da Antonio Proto e Raffaele Papa si fonde in uno spettacolo assolutamente da non perdere, che ha il suo punto di forza, lo ripetiamo ancora, nell’eleganza dello stile recitativo de gli interpreti che, oltre a quelli già citati, sono Maria Rosaria Carli, Leonardo Petrillo, Ciro Damiano e Giuseppe Ramosa. Sul finale, preceduto da un omaggio al settecento, con gli attori per un attimo vestiti con bautta e tricorno che recitano pagine dello scrittore illuminati dalle candele come nell’Arlecchino di Strehleriana memoria, il pubblico dona alla compagnia tutti gli applausi che il ritmo e la suggestione dello spettacolo ha fatto trattenere, omaggiando in tal modo un regista, ma è riduttivo definirlo così, che dalla sua città ha avuto tanto poco e ciò nonostante continua a regalarle momenti straordinari come questo. Napoli, TEATRO BELLINI - 25 ottobre 2005
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