Una pioggia di bianche stelle filanti, che invadono la platea trascinate dagli attori del Teatr Licedei (I saltimbanchi), chiude lo spettacolo “La famiglia”, accogliendo un caloroso e sentito applauso da un pubblico stupito, affascinato e divertito. Il Teatro Donizetti non è nuovo al circo e alle esibizioni che più si allontanano dalla prosa o dal melodramma; ogni volta riserva una splendida accoglienza a ciò che riesce a scardinare la monotonia di una stagione teatrale dominata dagli stereotipi del teatro occidentale e della sua quarta parete.
Ne “La famiglia” non esistono la quarta parete, né il buio in sala, né la possibilità per gli spettatori di schiacciare un sonnellino ristoratore durante lo spettacolo; l’ultima creazione del Teatr Licedei, è un continuo dialogo con il pubblico che non cessa di domandarsi in quale altro bizzarro modo sarà chiamato a fare parte dello spettacolo.
Gli attori entrano dalla platea, passeggiano tra le file, baciano gli spettatori, li prendono a cuscinate, tirano ogni tipo di oggetto fra il pubblico, lo bagnano con annaffiatoi, saltano tra le poltrone e si siedono in braccio ai divertiti astanti, li coinvolgono in assurde gag: il direttore d’orchestra che cerca attenzione da alcuni spettatori cui ha affidato una partitura musicale; il telefono in scena che squilla per qualcuno fra il pubblico, invitato a rispondere e a proseguire lo spettacolo. Niente è prevedibile nell’accurata sceneggiatura senza parole de “La famiglia”. Lo spettacolo prosegue per quasi due ore senza che venga detta una sola parola da parte dei bravissimi clown e mimi della compagnia, eppure non se ne sente la mancanza e ogni scena risulta chiarissima benché puramente mimata.
I sei attori in scena – padre ubriacone, madre incinta e quattro figli – con un trucco clownesco che permette di esagerare le espressioni, grazie a doti da giocolieri e a una grande tecnica di mimo, riescono a raccontare, in una serie di esilaranti pantomime, le assurde vicende di una famiglia eccentrica. In questa casa stravagante, che sembra il magazzino di un trovarobe, i figli hanno istinti omicidi verso i genitori e verso i fratelli, il padre minaccia continuamente di lasciare il tetto coniugale e la madre cerca con il riso, il pianto, la seduzione, esibendo la prole abbandonata, di trattenere il marito in fuga. Le trovate dei quattro pargoli sono però sempre più frenetiche e distruttive. Il figlio maggiore brandisce una sega con la quale tenta di tagliare gli arti dei familiari, scrive con un gesso su lavagne invisibili, dirige orchestre fantasma, si aggira su tricicli e monopattini, coinvolge le sorelle in folli partite di hockey su trapunta da letto e battaglie coi cuscini. La figlia minore, con il succhiotto in bocca e un vestitino tutto pizzi e trine, insegue i fratelli con martelli e accette schettinando sul suo passeggino, stacca le teste a tutte le bambole della casa e le tortura, sfoderando sorrisi demoniaci. Le due figlie di mezzo appaiono le meno crudeli del gruppo, l’una apparentemente invalida porta un collare per un trauma cervicale, l’altra si aggira svampita perdendo i mutandoni e porgendo fiori appassiti.
Dopo l’ennesima marachella, il padre abbandona la famiglia che si stringe attorno alla madre e al nascituro. Il lieto fine è però d’obbligo e dal fondo della sala riappare il genitore, sopraffatto dalla gioia dei figli e della consorte. Tutti insieme posano per una foto di famiglia sotto una liberatoria e allegra pioggia di stelle filanti.
Le parole non sono sufficienti per descrivere appieno “La famiglia”, uno spettacolo fatto di gesti, sentimenti, azioni, espressioni, ballo, ma senza nemmeno una parola. L’unico modo per lasciarsi trasportare dalla folle comicità di questo piccolo capolavoro teatrale è assistervi.
Visto il
al
Curci
di Barletta
(BT)