Mah, valle a capire certe regie... Questa di Andrea Cigni per La favorita di Donizetti è stata vivamente contestata al Municipale di Piacenza, dove è apparsa la settimana precedente. Mentre al Regio di Parma, dove eravamo noi, non ha destato particolari critiche ma neppure particolari entusiasmi, ad essere sinceri: anche nel foyer, durante l'intervallo, molti dei presenti esprimevano non poche perplessità in merito a quanto proposto.
D'altro canto, né Cigni né la sua squadra (Dario Gessati per le scene, Tommaso Lagattola per i costumi, Fiammetta Baldisserri per le luci) si sono presentati a fine spettacolo, a ricevere eventuali plausi o contestazioni del pubblico. Quindi è mancato il giudizio finale del pubblico parmense, che si è limitato ad applaudire con calore interpreti e direttore.
Le ombre dell'anatomia
Ad ogni modo non è che questo spettacolo, a parer nostro, fosse particolarmente memorabile: piuttosto forse un esempio di malinteso regietheater. E' pur vero che La favorita è storia di sentimenti contrastanti circoscritti a pochi personaggi, e poca importanza riveste il contesto che l'attornia. Un contesto che potrebbe mutare – e all'occasione, in passato l'ha fatto – di luogo e d'epoca.
Ma qui Cigni s'inventa qualcosa di inusitato. Niente convento di Compostela, niente giardini dell'Alcazar, niente palazzo reale; tutti sostituiti da un asettico, claustrofobico teatro anatomico – luogo dove si dissezionano i cadaveri ad uso didattico - che dividendosi e ruotando mostra un'alta muraglia metallica. I solisti entrano in scena vestiti di bianco, sovente adagiati sul tavolo d'anatomia, per poi indossare con l'aiuto di mimi/infermieri il costume che connota il loro personaggio. Il coro, disposto sugli stalli a mo' di studenti di medicina, giudica, commenta e si esprime con i gesti, oppure scrivendo parole di commento su fogli che poi mostra al pubblico, getta in aria, per terra, addosso agli interpreti.
Spiega Cigni nelle note di regia che questo gelido spazio di autopsie è il luogo dove “si esaminano
profondamente (fisicamente) gli individui... come analisi e disamina dei sentimenti, delle viscere affettive dei personaggi, del loro essere veri, sotto una pelle (rappresentata dal costume) che solo quando viene tolta li lascia sinceramente esprimere ciò che sentono, provano, vivono”.
Comunque, tutto si ferma qui: a parte lo spunto iniziale, la recitazione degli interpreti è convenzionale, il coro non si integra, e ogni cosa va avanti per inerzia. Restano impressi però l'eccentricità ed i colori accesi dei costumi – decisamente assai belli - che giocano di contrasto con il grigiore del resto.
Quanti tagli, o Favorita!
L'edizione è quella Ricordi, ma con numerosi tagli che non la esaltano. Eliminati anche i balletti del III atto, causa Covid. La Povera Favorita risulta quindi sfigurata dagli orridi versi dello Jannetti e mutila pure di molte pagine – s'ascoltano appena più di due ore di musica - risultando l'ombra della rigogliosa Favorite parigina.
Matteo Beltrami fa quello che può per ravvivarla – deve pure sospendere qualche attimo l'esecuzione per un feedback Larsen – e tirate le somme, ben sostenuto dall'Orchestra Filarmonica Italiana, conduce in porto l'impresa: nella sua concertazione non mancano né leggerezza strumentale, né varietà dinamica, né ottimo fraseggio orchestrale. E la scelta dei tempi appare adeguata, il sostegno al canto ineccepibile.
Di converso, la dimensione canora di Anna Maria Chiuri non ci pare del tutto adatta alla Leonora donizettiana: figura che seppure già dai tratti pienamente romantici, sotto sotto risente ancora dello spirito belcantistico. Come la Fiorenza Cossotto d'un tempo - interprete memorabile – sta a ricordarci. L'emissione è solida regge bene, anche nei passaggi di registro – che spinge spesso in alto - ma il fraseggio è compassato, non esaltante la gamma dei colori.
Celso Albelo fa e strafà, con il suo Fernando, risultando più aggressivo ed enfatico che virilmente irruento. Gli acuti ci sono, ma mancano di eleganza e spontaneità; il suono un po' coperto; la linea di canto, spesso buttata lì. E poi, il personaggio in sé, appare alquanto latitante. Il che si potrebbe dire un pochino anche di Simone Piazzolla, Alfonso vocalmente imponente, condotto in porto con un timbro tendenzialmente chiaro, sonoro, emesso con bella morbidezza; ma che fa sorgere l'impressione di poco scavo del personaggio.
Simon Lim consegna un Baldassarre statuario, imponente nella voce e ben squadrato, dalla cavata ampia e morbida. Sufficienza tanto per l'Ines di Renata Campanella quanto per il Gasparo di Andrea Galli. Il Coro del Teatro Municipale di Piacenza, preparato da Corrado Casati, ogni tanto sbanda e propone una performance non alla sua altezza. Peccato.