Lirica
LA FIGLIA DEL REGGIMENTO

La figlia italiana

La figlia italiana
Ravenna, teatro Dante Alighieri, “La figlia del reggimento” di Gaetano Donizetti LA FIGLIA ITALIANA Il teatro Alighieri di Ravenna, in coproduzione con il Circuito Lirico Lombardo, ha messo in scena La figlia del reggimento di Gaetano Donizetti, nella versione italiana su libretto di Calisto Bassi eseguita per la prima volta a Milano nel 1840. Dopo il tiepido successo francese de La Fille du régiment, Donizetti propone una versione italiana della stessa per il teatro alla Scala. L’opera viene così tradotta, revisionata e sfrondata dei tanti “francesismi” che faranno il suo grande successo nel paese d’oltralpe. Tra le tante modifiche l’ambientazione passa dal Tirolo alla Svizzera, l’origine di Maria non è più francese ma savoiarda, inoltre il lavoro d’italianizzazione dell’opera indusse all’eliminazione degli elementi dal più marcato sapore francese: per esempio il famoso Salùt à la France, nel finale dell’opera, venne sostituito col duetto In questo sen riposati... molto meno francese e molto meno patriottico. Donizetti cercò di rimuovere i caratteri tipici dell’opéra-comique voluti dai teatri d’oltralpe a favore di quelli più tradizionalmente italiani dell’opera buffa, provvedendo a cambiare i dialoghi parlati con recitativi in versi e musica, eliminando i couplets della Marchesa e la romanza di secondo atto di Tonio, ricompensato con la sortita Feste? Pompe? Omaggi? Onori? trasmigrata da Gianni di Calais, e sostituendo il finale con un duetto amoroso. Ma se da un lato la trasposizione curata dallo stesso compositore rappresenta una grande abilità musicale, che tra l’altro si preoccupa di abbassare la tonalità di alcune pagine, per non mettere in difficoltà gli interpreti italiani abituati a un diverso modo di cantare rispetto ai colleghi francesi, il nuovo libretto ha una logica poco chiara e ciò contribuisce ulteriormente alla perdita di vivacità. In Italia La figlia del reggimento pertanto, non conquistò subito il pubblico, come accadde per la versione francese e deve attendere la seconda metà del XX secolo per una sua rivalutazione. Quest’allestimento è stato affidato alla regia di Andrea Cigni, che ne ha curato anche le scene e i costumi. Il regista immagina l'opera come una sorta di film di fantasia. «Il taglio cinematografico - dichiara Cigni - è stato uno dei linguaggi ricercati per il mio lavoro; ho voluto pulire la drammaturgia, concentrandomi sui due luoghi in cui Maria e i personaggi agiscono. Da una parte l'accampamento tra soldati, gavette, il sidecar con cui va a prendere le vivande: qui tutto è a misura d' uomo e quindi anche di Maria, perché lei stessa si definisce un soldato. Dall'altra, la casa giocattolo in cui è costretta a trascorrere la sua nuova vita: un luogo che non le appartiene, monotono e lezioso». Il regista toscano utilizza dei simboli troppo marcati, rischiando eccessi di dubbio gusto, come una bandiera Svizzera grande quanto l’intero arco scenico durante il coro di apertura e un enorme orsacchiotto durante la seconda parte, a rappresentare la casa giocattolo in cui la giovane è costretta a vivere. Nel procedere della vicenda, al gigantesco peluche sono tolte le zampe, viene coricato e poggiato sul muso e i protagonisti vi salgono sopra calpestandolo. Lo spettacolo è nettamente diviso in due: sobrio ed elegante il primo atto, farsesco il secondo. Il primo atto si apre su una gigantesca bandiera svizzera, davanti alla quale il coro canta le sue suppliche, e che lascia presto il posto a un panorama montano con mucchietti di neve sparsi per il palco: la vicenda è trasportata durante la prima guerra mondiale e la caratterizzazione dei personaggi è garbata e mai caricata, con momenti emozionanti. Poi viene cambiato completamente l’approccio nel secondo atto, che si apre ancora sul panorama montano (anzichè l’interno di un palazzo signorile), ingombro però del già citato gigantesco orsacchiotto che campeggia in mezzo alla scena, cosparsa di giocattoli e bambole. La lezione di canto è un po' caricata con parodie eccessive, così pure il terzetto Sulpizio/Tonio/Maria e l’arrivo degli ospiti in occasione del matrimonio di Maria. Il maestro Alessandro D’Agostini, alla guida dell’Orchestra dei Pomeriggi, musicali fonda il progetto interpretativo di questa partitura italiana di Donizetti su una serie di ricerche musicali volte al recupero, per quanto possibile, di alcune prassi esecutive dell'epoca: l'utilizzo in orchestra alcuni strumenti storici (cornette, cimbasso, percussioni particolari), il ripristino della consuetudine dell'epoca di far accompagnare i recitativi secchi dal fortepiano, dal violoncello "per accordi" e dal contrabbasso, la disposizione e all'organico orchestrale quanto più possibile rispondenti alle intenzioni dello stesso Donizetti. Analogamente, con i cantanti, il maestro D’Agostini ha svolto un’approfondita ricerca sulle modalità esecutive del recitativo, improntate su precise testimonianze di interpreti dell'Ottocento. La direzione di D’Agostini è precisa, spigliata, adeguata allo spirito dell'opera: buon ritmo, ma anche attenzione ai momenti più lirici, resi con abbandono e dolcezza. L'orchestra conferma le sue qualità: attenta, molto musicale e precisa. La Maria della bulgara Ilina Mihaylova ha rivelato fascino, dizione, intonazione, anche se a volte, si è lasciata andare a qualche acuto poco controllato. Purtroppo l’atteso Gianluca Terranova è stato sostituito, nel ruolo di Tonio, all’ultimo minuto dal giovane tenore sudamericano Hans Ever Mogollon Rueda; se la voce da tenore leggero era una speranza per il ruolo del protagonista, purtroppo non si è rivelato all’altezza, soprattutto nella trappola dell’aria dei nove do. Discreta prova per il Sulpizio di Francesco Paolo Vultaggio e brava la Marchesa di Dionisia Di Vico. Bene il Coro As.Li.Co. istruito dal maestro Antonio Greco e la Banda di palcoscenico del teatro Sociale di Como. Il teatro Alighieri era pieno, applausi alla fine. Visto a Ravenna, teatro Alighieri, il 23 gennaio 2010 Mirko Bertolini
Visto il
al Alighieri di Ravenna (RA)